Lo scrittore e drammaturgo austriaco Arthur Schnitzler scrisse il suo breve romanzo psicologico Doppio sogno (Traumnovelle) tra il 1921 e il 1925, sebbene la struttura romanzesca fu già abbozzata nel 1907, però la prima edizione in lingua tedesca risalì al 1926. Lo scrittore fu definito spesso e inappropriatamente dalla critica come il «Freud della letteratura», in effetti il titolo dell’opera, dal richiamo quasi scientifico, rimandò inevitabilmente all’opera del noto psicoanalista austriaco: L’interpretazione dei sogni. Inoppugnabilmente, le suggestioni e lo sviluppo narrativo dell’opera Doppio sogno procedevano nel solco d’una weltanschauung che s’intrecciava con le categorie proprie del modello psicoanalitico. Difatti, lo stesso Freud riconobbe allo scrittore austriaco la raffinata capacità di scandagliare la psiche umana però, al contempo, necessariamente stabilì – per «timore del sosia» – una inequivocabile dicotomia tra l’intuizione del romanziere e la ricerca estenuante e minuziosa dell’uomo di scienza.
Arthur Schnitzler fu sicuramente un profondo conoscitore delle opere freudiane, ciononostante mantenne costantemente una significativa distanza critica rispetto alle teorie psicoanalitiche che ne derivarono. Non a caso da alcune sue annotazioni trascritte nell’opera Sulla psicoanalisi, pubblicata post mortem, trapelò tutto il suo viscerale scetticismo nei riguardi del nascente metodo d’indagine freudiano: «Non è nuova la psicoanalisi, ma Freud. Così come non era nuova l’America, ma Colombo». Anzitutto, lo scrittore austriaco rigettò non solo la rigida e arbitraria bipartizione della coscienza umana in conscio e inconscio, ma finanche la simbologia onirica codificata da Freud nella sua magna opera. In virtù di ciò, Arthur Schnitzler asserì l’esistenza d’una zona intermedia della sfera psichica, a suo avviso, completamente trascurata dalla psicoanalisi: il medio-conscio.
Dunque, nel perpetuum movens del vissuto umano il medio-conscio costituirebbe la regione più estesa della vita psichica e spirituale, e in questo luogo d’intermediazione tra conscio e inconscio fluttuerebbero, per poi dissiparsi nel subconscio, gran parte delle esperienze di vita dell’individuo. Pertanto, secondo Schnitzler l’interconnessione determinatasi in seno alle funzioni psichiche, mediante il medio-conscio, causerebbe un’ininterrotta mescolanza e confluenza verso la sfera cosciente del sé di traumi irrisolti, di lapsus, di reminiscenze fulminanti, di déjà-vu, di jamais vu, di pulsioni represse e soprattutto di residui vividi della vita onirica.
E così in questa labile e permeabile terra di confine tra conscio e inconscio, tra razionale e irrazionale, tra moralità e desiderio, tra realtà e onirismo, si dipanerebbe e si consumerebbe la vita d’un soggetto umano ontologicamente semi-cosciente. Infine, fu proprio partendo da siffatta analisi capovolgente che Arthur Schnitzler ideò e sviluppò la sua opera di penetrazione nella psiche umana tra le contraddizioni sociali e i doveri morali dell’individuo della prima metà del ‘900.
L’autore tracciò un vero e proprio cammino iniziatico contraddistinto da una disarmante densità, profondità, evocatività e lucidità narrativa. Al punto tale da ispirare con Doppio sogno il geniale regista newyorkese Stanley Kubrick per la creazione del suo ultimo e ossimorico capolavoro cinematografico: Eyes Wide Shut, film del 1999.
«L’uno nell’altro scorrono sonno e veglia, verità e menzogna. Non c’è certezza, niente sappiamo degli altri e di noi. Sempre giochiamo. Chi lo sa è saggio». (Arthur Schnitzler)
Doppio sogno di Arthur Schnitzler: un romanzo perturbante, erotico e onirico
Doppio sogno di Arthur Schnitzler è ambientato negli anni ’20 in una decadente e lussureggiante Vienna, si snoda nell’arco temporale di due giorni e ha come protagonisti una coppia della medio-alta borghesia composta dal giovane medico Fridolin e dalla sua amata moglie Albertine. L’opera si articola in sette parti e rimarca sia le alterne, trasognate e angosciose crisi matrimoniali della coppia, sia le labirintiche rielaborazioni e alterazioni mentali d’una instabile e fragile psiche umana. Tutto ciò genera inevitabilmente dei turbamenti paralleli nei due amanti e ciò dà adito a una progressiva incomunicabilità e frantumazione del rapporto uomo-donna. Infatti, lo scrittore austriaco, sullo sfondo d’una commedia dei disinganni, mette a confronto i due personaggi nell’intimità della propria dimora affinché possano svelare i reciprochi segreti, i desideri inappagati e i loro sogni voluttuosi e trasgressivi. Albertine sogna a occhi chiusi, Fridolin sogna a occhi aperti.
Pertanto, l’intera opera verte su una doppia tensione sessuale aggressiva e inespressa.
Arthur Schnitzler struttura il racconto sulla triade dialettica onirico-reale-surreale ragion per cui la prosa si rivela fortemente perturbante evocando costantemente un qualcosa di misterioso, di destabilizzante e di celato che spesso si manifesta sommessamente oppure fragorosamente. Difatti, il perturbante rimanderebbe a qualcosa ch’è nell’individuo e che, in quanto tale, gli apparterrebbe ma, al contempo, gli è estraneo e recondito. Antecedente al saggio di Freud del 1919 sul perturbante (Unheimlich), l’opera Filosofia della mitologia del 1842 di Schelling fornisce un’accezione precisa di questa condizione non familiare: «È detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare […] segreto, nascosto, e che è invece affiorato».
In virtù di ciò, lungo tutto il romanzo v’è il fluire di un’implicita ambiguità che genera l’instaurarsi di un doppio che contiene due diverse polarità e due diverse affettività: quella nota e quella ignota.
Il rimosso e un onirismo che valica i confini dei costumi borghesi e del reale conducono Albertine e Fridolin a scoprire un loro sé totalmente altro da sé: ambedue, nel corso del legame coniugale, hanno desiderato intensamente qualcun altro.
Dunque, è all’interno di tale conflittualità latente e percepita che aleggia la presenza di un non detto che viene poi finalmente confessato e scatena in loro una reciproca pulsione vendicativa. Nei suoi sogni Albertine rievoca desideri erotici e mortiferi: si concede a un giovane ufficiale conosciuto tempo addietro e poi assiste alla crocifissione del marito, dileggiandolo oltretutto per aver rinunciato a tradirla per restarle fedele, laddove nel sogno gli è stata concessa l’opportunità, tradendola, di avere salva la vita. Difatti, sfida il pregiudizio sociale e si pone in quanto antagonista morale delle tipiche mogli borghesi sguainando un’inattesa e affilata spada di Damocle sopra le teste patriarcali che la vogliono vittima.
Paradossalmente però lei sublimando le pulsioni represse nella propria vita onirica riesce a sanare la frattura col proprio doppio e, riacquistando il possesso di sé, non patisce più la cesura nei confronti del marito. Il viaggio nei recessi della coscienza è per lei liberatorio.
Invece Fridolin, obnubilato dalla brama libidica, è sgomento per aver scoperto in Albertine una capacità a tradire, seppur agita solo nel sogno. Non tollera l’onta e la frustrazione derivanti dal rapporto coniugale e cerca in tutti i modi di auto-legittimarsi e di razionalizzare i propri vissuti erotico-surreali che lo allontanano affettivamente sempre più dal talamo matrimoniale. Pertanto, nell’uomo s’è innescato il movente borghese, figlio d’una doppia morale dominante, che degrada la donna in una posizione subalterna: agli uomini è concesso – finanche il tradimento – quello che alle donne non è concesso.
Al netto dei doveri e dei diritti che devono essere rispettati nei limiti di ciò ch’è considerato sessualmente caratterizzante e nonostante l’impossibilità d’incarnare i propri desideri nel reale e quindi di consumare l’atto fedifrago, questa ambiguità manifesta rivela una soverchiante e inquietante tendenza pulsionale proiettata esclusivamente al perseguimento e alla sublimazione dei loro più intimi e inconfessabili desideri. Ciò è la causa dell’insediarsi tra loro di una profonda lacerazione.
«Sì, tradire, ingannare, mentire, far la commedia, dovunque, davanti a Marianne, davanti ad Albertine, davanti al buon dottor Roediger, davanti al mondo intero; condurre una specie di doppia vita, essere il medico valente e fidato dal promettente avvenire, il buon marito e padre di famiglia – e allo stesso tempo un libertino, un seduttore, un cinico che giocava con la gente, con uomini e donne a seconda dell’estro – tutto ciò gli sembrò in quel momento molto attraente; ma la cosa più attraente era il pensiero che un bel giorno, quando Albertine […] le avrebbe rivelato con freddo sorriso tutte le sue colpe, ripagandola così dell’amarezza e del disonore che gli aveva cagionato col suo sogno». (Arthur Schnitzler, Doppio sogno).
Ciononostante, il peregrinare infernale e convulso di Fridolin lo rende terrorizzato e dal suo medio-conscio riaffiorano brutalmente tutte le doppiezze, le debolezze e le stridenti contraddizioni della sua personalità e delle figure femminili che incontrerà durante il suo errare in balìa delle suggestioni d’una Vienna spettrale e ammaliante. Difatti, l’insanabile frattura fra sé e il suo doppio rende illusoria la volontà di poter incarnare i panni del novello Casanova, che quel suo doppio evoca e ha fatto venire alla luce, e di conciliare ciò con l’immagine dell’irreprensibile e facoltoso Dottor Fridolin.
La sua sovrastante crisi d’identità deriva dall’ingabbiante ruolo sociale che ormai da anni impersonifica con inerzia e automatismo. Però, allo stesso tempo, la routine lavorativa e familiare rappresenta l’ultimo rifugio d’una coscienza incapace d’affrontare la mediocrità della propria esistenza. Il calvario del coniuge è, infatti, oberato dall’immagine di Albertine nonostante egli cerchi disperatamente mediante le sue inconcludenti evasioni erotiche di rifuggirle. Ciò consegue il parossismo quando Fridolin recatosi all’obitorio, dopo l’umiliante e pericoloso ballo in maschera, vuole a ogni costo scoprire l’identità della splendida suicida che per lui si è sacrificata: il volto sconosciuto di lei l’ha figurato con i lineamenti della sua amata moglie.
Dunque, appare evidente il motivo per cui originariamente il romanzo è stato designato con il titolo di Doppelnovelle (Doppia novella), proprio a richiamo delle dicotomie interne – fedeltà-tradimento, realtà-finzione – da cui ha inizio un tribolato percorso parallelo che mostra come le due rispettive realtà dei personaggi siano speculari e, al contempo, compenetranti sino a coincidere quasi del tutto grazie al conscio razionale. L’agnizione all’epilogo dell’opera risolve le angosce della coppia.
Doppio sogno: maschera, alienazione e catarsi
Arthur Schnitzler con maestria narrativa è in grado di far trapelare il conscio, l’inconscio e il medio-conscio contemporaneamente e così traspone – ricreando la suspense del giallo – l’indecifrabilità e l’ancestralità della psiche umana e una sottile critica alle convenzioni borghesi del tempo. Altresì il gusto per il macabro e per l’oscuro romantico lo porta ad adoperare simbolismi e metafore al fine di creare un’atmosfera onirica e di celare nei monologhi interiori, nei dialoghi e negli oggetti misteri, seduzione, inganni, desiderio, senso di colpa, sovrapponendo ciò a una ricerca travagliata della verità, che si dispiega sottotraccia e non può esistere se non nel precario tentativo d’una corrisposta comprensione.
Pertanto, il fil rouge del romanzo è rappresentato dall’alienazione che si riflette nell’ondeggiare caotico della coppia in uno sbandamento affettivo ed esistenziale. Ed è, per l’appunto, il sogno, in quanto caleidoscopio delle più intime emozioni umane, ad assumere per entrambi una funzione catalizzatrice e catartica, poiché consente l’assorbimento degli impulsi indomabili e autodistruttivi accumulati nel tempo, ristabilizzando de facto gradualmente le loro esistenze alienate e immerse nel medio-conscio, nell’attesa che qualcosa li trascinasse in basso o li facesse risalire. In tutto ciò, è evidente che il sesso è l’aculeo perennemente conficcato nella carne umana lungo la sua storia antropologica.
Non a caso, la maschera – borghese – è l’elemento semiotico chiave ricorrente in tutta l’opera. Dalle due maschere carnevalesche in domino rosso menzionate nell’incipit, all’apoteosi che la dimensione della maschera assume nella festa dionisiaca ed esoterica, tutta perversamente dominata, sia in senso reale che simbolico, dalle maschere; sino alla maschera indossata da Fridolin proprio durante il ballo segreto, poggiata inaspettatamente da Albertine sul cuscino del marito. In quel frangente, su quel letto, crolla, dunque, la maschera dell’uomo alienato e si rivela il significato del sentimento e della triste farsa edonistica – consumatasi labilmente tra sanità e follia – delle ore precedenti.
Il contraccolpo fa sì che in lui si ricomponga la lacerazione e di rimando riacquisisca la coscienza del reale valore del rapporto con Albertine. Sulla base di ciò, si rende possibile riprendere una vita coniugale rafforzata da una reciproca comprensione, forse al sicuro dalle primigenie forze dell’istinto e del destino.
Arthur Schnitzler attua una vera e propria trasposizione dell’oggettivo nel soggettivo e, infine, l’amara verità che ne scaturisce è che non v’è verità alcuna poiché non v’è certezza alcuna. Finché il soggetto è incarnato è, quindi, soggetto alla materia, ossia all’errore, al fallimento e alle continue ricadute. Nulla può durare per sempre, così come nulla realmente si conosce del proprio sé, di ciò che l’individuo potrebbe essere e soprattutto di ciò che quest’ultimo potrebbe scoprire d’essere.
«[…] chiese dubbioso e pieno di speranza: “Che dobbiamo fare, Albertine?” Lei sorrise, e dopo una breve esitazione rispose: “Ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure… da quelle vere e da quelle sognate”. “Ne sei proprio sicura?” chiese Fridolin. “Tanto sicura da presentire che la realtà di una notte, e anzi neppure quella di una intera vita umana, non significano, al tempo stesso, anche la loro più profonda verità”. “E nessun sogno” disse egli con un leggero sospiro “è interamente sogno”. Albertine prese la testa del marito fra le mani e l’attirò affettuosamente a sé. “Ma ora ci siamo svegliati…” disse “per lungo tempo”. Per sempre, voleva aggiungere Fridolin, ma prima ancora che pronunciasse quelle parole, lei gli pose un dito sulle labbra e sussurrò come fra sé: “Non si può ipotecare il futuro”». (Arthur Schnitzler, Doppio sogno).
Gianmario Sabini