Russia
Credit: news.nd.edu

In un lungo discorso a reti unificate, il Presidente russo Vladimir Putin lunedì 21 febbraio ha riconosciuto ufficialmente l’indipendenza dei due territori separatisti situati nell’est dell’Ucraina, Donetsk e Lugansk, costituenti la regione del Donbass. Putin, nel suo discorso, ha inoltre negato che l’Ucraina costituisca uno Stato sovrano, essendo stata ≪creata completamente dalla Russia≫, citando gli accadimenti storici che hanno in parte determinato gli sviluppi che sono sotto i nostri occhi da diverse settimane. 

Il ruolo cruciale dell’Ucraina lo si deve storicamente al fatto che nell’VIII secolo d.C rappresentava il cuore dello Stato monarchico medievale Rus’ di Kiev, considerato la culla della civiltà russa moderna. Ciò nonostante, i rapporti fra Russia e Ucraina sono storicamente complessi e le prime fratture risalgono a prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale.

Intorno alla fine degli anni ’20 l’Ucraina, infatti, vedendosi collettivizzare il 70% delle sue fattorie dallo Stato centrale, decide di opporsi alla politica di Stalin, il quale a sua volta reagisce con quello che viene storicamente definito come Holodomor: sterminio per fame. Privati dei mezzi di sostentamento, in tutta l’URSS 5 milioni di persone muoiono di fame. Di questi, 4 milioni sono ucraini. Ancora oggi questa viene ricordata come una ferita non ancora completamente chiusa del popolo ucraino nei confronti dell’Unione Sovietica e della successiva Federazione Russa.

Nel corso della seconda guerra mondiale, il “granaio dell’URSS” è uno dei territori che subisce più perdite in termini di vite umane fra le epurazioni e l’uccisione di ucraini ebrei, stimata fra 1 e 2 milioni. Nel 1991 più del 90% degli ucraini si dichiara favorevole all’indipendenza dall’Unione Sovietica attraverso un referendum popolare, ma, nonostante l’indipendenza, l’elezione di Vladimir Putin come Primo ministro della Federazione Russa nel 1999 inizia a far cambiare i rapporti fra le due potenze. 

Nel 2004 il candidato filo-russo alla presidenza in Ucraina, Viktor Yanukovych, viene accusato di brogli elettorali dal suo oppositore filo-occidentale Viktor Yuščenko, che a sua volta subisce un avvelenamento al quale, però, sopravvive. Segue la cosiddetta “rivoluzione arancione” dove il popolo, pacificamente, protesta nelle maggiori piazze chiedendo nuove elezioni, alle quali vincerà lo stesso Yuščenko. Inizia così a crescere la volontà degli ucraini di avvicinarsi all’Unione Europea e alla Nato. Nel 2010 Yanukovic diventa Presidente e intende siglare un importante accordo di libero scambio con l’Unione Europea, al quale Putin si oppone attraverso forti pressioni commerciali. Seguono le cosiddette “proteste Euromaidana cavallo fra il 2013 e il 2014, che culminano con l’uccisione di centinaia di manifestanti per mano di cecchini e con le dimissioni di Yanukovych, che, sotto accusa, fugge in Russia.

Fonte: ispionline.it

Sei mesi dopo, sempre nel 2014, le forze filo – russe prendono il controllo della penisola della Crimea che viene annessa alla Russia con un referendum nel quale il 95% della popolazione vota favorevolmente: annessione che le Nazioni Unite dichiarano illegali. Nella primavera del 2014 un movimento separatista appoggiato da Mosca prende possesso di Donetsk e Lugansk, territori strategici della regione mineraria del Donbass, nell’Ucraina orientale. Verranno dichiarati “repubbliche popolari indipendenti” in seguito a un conflitto con l’esercito regolare, che ha causato più di 14.000 morti e un milione e mezzo di sfollati. In seguito agli accordi di Minsk del 2015 siglati sia dalla parte russa che da quello ucraina, non sono mai stati davvero rispettati. I conflitti sono continuati fino a oggi, con chilometri di trincee localizzate lungo i confini.

Nel 2018 Volodymir Zelensky viene proclamato Presidente, e mostra da subito un atteggiamento distensivo nei confronti dell’Occidente e in particolare con l’Unione Europea, tanto da tornare a parlare di ingresso dell’Ucraina nell’ Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO)

Si arriva ad oggi. A fine 2021 le immagini satellitari mostrano almeno 100.000 soldati russi al confine con l’Ucraina, facendo temere un’invasione imminente sul territorio. Nei colloqui con Washington, Putin chiede a gran voce che l’Ucraina non entri nella NATO non potendosi permettere un’ espansione dell’alleanza atlantica filo occidentale fino alle porte di Mosca, ciò nonostante non si arriva a nessun accordo ufficiale. 

Il 21 febbraio, dopo aver riconosciuto ufficialmente le due repubbliche separatiste nel Donbass, le forze armate russe sono entrate nella regione dispiegando quelle così definite “forze di pace”, che sarebbero impegnate in un’operazione di peacekeeping per il mantenimento dell’indipendenza dei due territori. Il Presidente Zelensky ha dichiarato ≪non cederemo niente a nessuno≫, facendo presagire un’ ulteriore escalation. Nessun analista si è mostrato certo sulle prossime intenzioni di Putin: se intenda ricreare una nuova Unione Sovietica superando l’umiliazione subita con il suo disfacimento, o se intenda fermarsi qui. L’unica cosa certa è che la diplomazia europea e internazionale ancora una volta non si sono mostrate all’altezza.

Giulia Esposito

Affamata di conoscenza, sempre con un libro in mano e voglia di sapere sempre di più. Laureata in Relazioni Internazionali. Attualmente frequenta il Master SIOI in Comunicazione e Lobbying per le Relazioni Internazionali.

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