Greta Thunberg annuncia il prossimo Global Climate Strike. Il 25 marzo Fridays For Future torna nelle piazze
Una protestante regge un cartellone durante un Global Climate Strike.

È attraverso un tweet che Greta Thunberg ha annunciato il primo Global Climate Strike del 2022, previsto per il 25 marzo. Dopo un anno sicuramente difficile per l’eco-attivismo, a causa delle restrizioni dovute all’emergenza COVID, gli attivisti e le attiviste di Fridays For Future si preparano numerosi a riversarsi nelle strade e nelle piazze per la lotta alla crisi climatica. Con l’hashtag #PeopleNotProfit, Fridays For Future si impegnerà a chiedere i risarcimenti climatici da parte del Nord del mondo, che ha le maggiori responsabilità. 

«Questi risarcimenti non dovrebbero essere prestiti, ma finanziamenti per le comunità indigene ed emarginate; per la restituzione delle loro terre, per l’adattamento, le perdite e i danni» spiegano gli attivisti e le attiviste del movimento.

La crisi climatica, che ormai si fa sempre più critica e preoccupante, è infatti un problema che ne contiene molti altri: uno di questi è lo sfruttamento delle risorse che provoca sempre più alluvioni, siccità e carestie in molte aree, abitate per lo più da comunità indigene, rendendole invivibili.

Sofia Gutierrez di Fridays For Future Colombia, afferma: «Non abbiamo tempo per aver paura, ma abbiamo bisogno di reagire, di fermare la distruzione delle nostre comunità devastate dall’attuale sistema estrattivista e di lavorare allo stesso tempo, la paura non può essere sentita quando hai una pistola vicino alla testa per farti lasciare il tuo territorio».

Come risulta anche da uno studio condotto dalla scienziata e professoressa associata dell’Arizona University, Sonja Klinsky, i Paesi maggiormente colpiti dai cambiamenti climatici sono quelli più poveri per mano dei paesi più ricchi e industrializzati. Si stima che saranno circa 216mila i rifugiati ambientali entro il 2050. «È evidente che i cambiamenti climatici stanno già avendo un impatto sui diritti umani e che questo impatto si intensificherà nei prossimi anni» dichiara Kumi Naidoo, Segretario Generale di Amnesty International.

La lotta per la giustizia climatica dunque è anche una lotta di classe per contrastare capitalismo e colonialismo, un binomio che da troppo tempo impera incontrastato nella nostra società. Eppure, nonostante la questione climatico-ambientale sia diventata sempre più urgente negli ultimi anni, è sotto gli occhi di tutti che a livello politico sono ancora poche e inefficaci le misure adottate finora, e a testimoniare l’inadeguatezza di certi sistemi politici nella lotta per la giustizia climatica è il Governo di Mario Draghi. Quest’ultimo, infatti, starebbe pensando a una strategia per facilitare il raddoppio dell’estrazione di gas da giacimenti nazionali.

Sempre più aspre sono le critiche rivolte ai suoi piani per la transizione ecologica da parte degli ambientalisti – e a ragione, se si pensa che uno dei maggiori fattori del riscaldamento globale è l’utilizzo di combustibili fossili. Un piano necessario, secondo quanto dichiara Draghi, per ovviare al folle rialzo dei prezzi e per fermare la crisi energetica, ma per Greenpeace, WWF e altre associazioni ambientaliste, si tratterebbe invece di una strategia pensata ad hoc per affossare le rinnovabili: una scelta che non sembra affatto prendere in considerazione i rischi e dietro la quale si nasconde, ovviamente, la speculazione finanziaria. Ancora una volta il Governo sceglie di salvaguardare il settore fossile e aziende come Eni e di ignorare le future generazioni che attraverso il Global Climate Strike chiedono da anni un’effettiva transizione ecologica. A pagarne le conseguenze è l’ambiente.

Deludenti risultano quindi i piani per contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, pattuiti dal G20 e durante la Conferenza di Glasgow COP26: secondo alcuni studi, infatti, i piani previsti porterebbero verso un riscaldamento globale di 2,4 gradi.

«Le persone al potere peggiorano questa crisi con i loro discorsi falsamente verdi e le bugie che portano avanti nel nome della transizione ecologica. Abbiamo bisogno di una vera azione climatica, ed è per questo che torniamo in piazza» afferma Martina Comparelli, attivista di Fridays For Future Milano.

È tempo che la classe dirigente si assuma le proprie responsabilità, intraprendendo azioni reali per mitigare il cambiamento climatico.

Melissa Sellitto

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