Dal 31 marzo, Palazzo Ricca, costruzione di origine cinquecentesca in via Tribunali 213, apre le porte e invita il pubblico, napoletano e non, a partecipare alla visita del Cartastorie, il museo multimediale dell’Archivio Storico del Banco di Napoli.
Il progetto, battezzato col nome di Kaleidos, si articola in sei percorsi multimediali in lingua inglese ed italiana, e si pone l’obiettivo di ricostruire la Napoli degli ultimi 500 anni, valorizzandone l’identità e le sfumature della vita quotidiana, sfruttando le scritture degli antichi banchi pubblici napoletani.
A parlare stavolta, in via del tutto originale, saranno le carte, o per meglio dire le ricevute dei pagamenti, che si fanno portavoci delle storie del popolo partenopeo, svelandoci quei piccoli particolari che tendenzialmente sfuggono alle grandi ricostruzioni storiche, eppure ci parlano di vite, di personalità, di scelte economiche e ideologiche, che sembrano a noi vicine nonostante la corsa del tempo.
Cinque secoli e 17 milioni di nomi a formare il Cartastorie, l’archivio più fornito e autorevole del mondo, un ammasso di carte che diventa museo, una macchina del tempo per tornare indietro e immergersi nella concretezza della vita di chi ha percorso le nostre stesse strade, scrivendone la storia. Tanti piccoli tasselli che compongono un mosaico, da cui emergono notizie di personalità illustri, ma non solo: essi ci raccontano di quei popolani la cui singolare esperienza, osservata al microscopio, ritrova una singolare identità, riemergendo dalla moltitudine. Il Cartastorie ci svela, per esempio, il costo del Cristo Velato (500 ducati), costruito per volontà di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, da cui prende il nome la cappella in cui esso è ubicato.
Veniamo cosi a conoscenza di piccole grandi macchie e vergogne del nostro popolo: Antonio Cerone, uno stupratore che comprò al prezzo di 70 ducati la violenza e il silenzio della giovane Angela Esposito. Troviamo il rapporto contrattuale stipulato tra Napoli e San Gennaro, che a prezzo di una cappella costruita in suo onore, difende la città dalla pestilenza.
Di particolare fascino e curiosità, è il racconto dell’incendio del deposito dei pegni del Monte e Banco della Pietà, risalente al luglio 1786. Le carte e la documentazione dell’archivio storico ricostruiscono la concitazione degli eventi di quei terribili giorni, che provocarono l’irrimediabile distruzione di gran parte dei volumi e della contabilità custodite all’interno di uno dei più antichi istituti bancari napoletani. Ci giungono così notizie degli straordinari pagati agli impiegati e ai funzionari, impegnati nel tentativo di riparare ai danni, ricopiando i libri e i fogli danneggiati; delle mance, dei provvedimenti repentini che si susseguirono nel caos di una situazione che spaventò l’opinione pubblica, nell’oscura insinuazione della presenza di qualcuno che abbia appiccato dolosamente il fuoco, ma la cui identità rimane un mistero.
Il museo, gratuito fino al 31 maggio 2016, si trasforma così in un insieme di storie che raccontano la vita di una città, dal 1573 ad oggi, con i suoi mille protagonisti, nel fascino della magia della storia che ricostruisce le sfumature dei secoli e delle personalità che li hanno popolati.
“Ogni esercizio dell’occhio su Napoli è come giocare con un caleidoscopio. Forme e significati si compongono e disfano di continuo, governati dal caso, retti da un principio di indeterminazione piuttosto che di casualità. Basta un impercettibile spostamento del magico strumento perché l’immagine muti e trapassando in un’altra si intessa l’arabesco, uno dei simboli dell’infinito, come il labirinto.”
Sonia Zeno