L’accusa è chiara, precisa e circostanziata ed emerge immediatamente dal post pubblicato su Facebook dalla consigliera comunale Eleonora De Majo, di area Dema, il nuovo movimento del sindaco Luigi De Magistris: a Napoli non c’è lavoro o, se va bene, ce n’è molto poco. Così poco che, nei quartieri in cui si lavora di più, comunque si raggiunge una soglia media di occupati di poco superiore al 40% della forza lavoro disponibile.

La consigliera cita un rapporto pubblicato da Noi@europa, che mostra, al di là del dato numerico, anche un altro aspetto significativo della difficile situazione occupazionale della città: esiste una forbice di circa 20 punti percentuali tra il valore degli occupati in alcuni dei quartieri più agiati, come Vomero, Chiaia e Posillipo, e quelli storicamente più in difficoltà, come San Pietro a Patierno, Scampia, Miano. Insomma, in un contesto già difficile, nei quartieri più poveri il numeri di chi ha già un lavoro si dimezza rispetto alle realtà più prospere. Prospere, a questo punto viene da dire, comunque molto relativamente.

La lettura del semplice dato numerico può esemplificare ulteriormente il problema. Si prenda il quartiere più virtuoso in questa speciale classifica sul lavoro, ovvero Posillipo: il tasso di occupazione qui è del 43,3%. Ora, si guardi al più “occupato” dei quartieri disagiati, vale a dire San Pietro a Patierno: si osserverà che, in questo caso, il tasso di occupazione ammonta al drammatico 24,2%. Si tratta di cifre spaventose, ancor più se si pensa che nella Posillipo abitualmente considerata luogo di concentrazione di professionisti e altri lavoratori a reddito medio-alto, in realtà trova lavoro meno della metà di chi lo cerca.

Lo studio citato dalla De Majo prende in considerazione poi anche altre tre realtà per “categoria”, tra quartieri agiati e più svantaggiati, ma, come già accennato, la musica non cambia. Tra il secondo quartiere con più occupati, San Giuseppe, e il secondo con più occupati tra i rioni meno virtuosi, San Giovanni a Teduccio, il rapporto è sempre costante: 43% contro 24%. E così via, fino al confronto tra le “maglie nere” Vomero e Scampia.

In definitiva, la statistica dice che nei quartieri dove in proporzione, tradizionalmente, possono permettersi di vivere molte più persone agiate, cioè con un lavoro che permetta loro di mantenere il tenore di vita e, soprattutto, una casa in quelle realtà, in verità non sono che pochi eletti quelli che riescono ad avere un’occupazione. Questo significa che nemmeno più i quartieri più economicamente vivaci riescono a produrre quelle occasioni di realizzazione professionale in grado di far impennare la percentuale di occupati. Ma sono mai davvero riusciti, i quartieri agiati, ad essere ricettacolo di occupazione e punto di riferimento per l’occupazione in città?

In realtà, il lavoro a Napoli proprio non c’è, e non c’è da anni. Basta effettuare una veloce ricerca sul sito web del Comune di Napoli, per rendersene conto: qui sono pubblicati i dati relativi alla condizione professionale dei cittadini, divisi per municipalità di appartenenza. I dati sono relativi al 2001, ben 16 anni fa, data dell’ultimo censimento. Ebbene, ci si sorprenderà (o forse no) nell’apprendere che nella Municipalità 1 (che comprende i quartieri Chiaia, San Ferdinando e Posillipo) il tasso di occupazione allora era del 38,13%. Si tratta di un valore medio tra tre quartieri, ma rimane significativo il fatto che in 16 anni (contando anche la crisi economica degli ultimi 8) la crescita occupazionale in un rione simbolo del wellness come Posillipo sia stata solo del 5% circa rispetto al dato medio della Municipalità.

Allo stesso modo, e forse in maniera ancora più grave, si osserva che nella Municipalità 7 (comprensiva del più virtuoso tra i meno occupati, San Pietro a Patierno, oltre a Miano e Secondigliano), nel 2001 il tasso occupazionale medio era del 21,74%. Ora, 16 anni dopo, la fotografia di Noi@europa certifica il già citato 24,2% per S. P. a Patierno e un 23,6% per Miano. Un crescita irrisoria, considerata sul lungo periodo.

L’analisi statistica lascia il campo a quella politica. La De Majo, in accordo con la consueta linea argomentativa del sindaco De Magistris, che vuole Napoli fanalino di coda dell’economia nazionale, perché considerata, come tutto il Meridione, con ben poca attenzione in sede di Governo, ribadisce che «questa è la conseguenza di venti anni di distruzione e precarizzazione del mercato del lavoro e del welfare, certo portata avanti ovunque ma con conseguenze drammatiche nelle città del sud». I dati ben poco lusinghieri che riemergono dal lontano 2001 sembrano tutto sommato darle ragione.

Certo è che la politica del lavoro al Sud e soprattutto a Napoli richiede risposte certe ed immediate. Nei giorni scorsi ha lanciato l’allarme anche la Chiesa cattolica, impegnata con varie associazioni nell’assistenza ai più bisognosi. Afferma Don Enzo Cozzolino, direttore della Caritas di Napoli, che «la povertà sappiamo bene che in Italia è raddoppiata e in Campania a Napoli in modo particolare, addirittura triplicata o quadruplicata. Ai vecchi poveri, si aggiungono i nuovi poveri, che sono una realtà di professionisti». Quei professionisti, per intendersi, che non riescono più a trovare lavoro nemmeno nei ricchi, ma ormai solo nell’immaginario collettivo, Vomero, Chiaia o Posillipo.

Ludovico Maremonti

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