Putin-Biden (e Xi): due visioni del mondo a confronto
Fonte immagine: Wikimedia Commons

Due fatti recenti hanno ulteriormente incrinato i già compromessi rapporti tra il mondo occidentale e quello russo: la recente emissione di un mandato d’arresto contro il Presidente russo, Vladimir Putin e la commissaria russa per i diritti dei bambini, Maria Lvova-Belova, da parte della Corte Penale Internazionale, e la visita di Xi Jinping a Mosca, la prima dall’inizio della guerra. Entrambi hanno ribadito l’amicizia senza limiti che lega i due Paesi, affermando di essere i baluardi di una nuova visione del mondo lontana da quella degli occidentali, guidati da Biden, e cioè unipolare e “da nuova Guerra fredda” e più aperta al livellamento tra le diverse nazioni.

Insomma, Putin e Xi hanno deciso – già da tempo a dire il vero – di promuovere un’alternativa multipolare che tenga in considerazione le contraddizioni della globalizzazione, mettendo a disposizione di coloro che da quest’ultima sono stati penalizzati la possibilità di poter scegliere.

Al centro della contesa non ci sono (soltanto) categorie “troppo occidentali” come democrazia e dittatura. La posta in gioco è molto più alta e riguarda qualcosa di davvero “allettante”, soprattutto per i neutrali che fino ad oggi hanno subito l’egemonia dell’Occidente sui loro affari. Dall’Africa al Medio Oriente, non sono pochi gli stati che, dopo la balbettante “gestione” americana, sono pronti a mettere in discussione il futuro politico del pianeta legandosi a chiunque fornisca loro un’alternativa.

Due visioni del mondo diverse e inconciliabili, le quali sostanziano in qualche modo – e con le dovute differenze – lo “scontro di civiltà” che un certo Samuel Huntington aveva profetizzato circa venti anni fa. Putin (e Xi) contro Biden è anche un confronto a livello ideologico e di narrazione, come quella che vede i due colossi orientali opporsi all’imperialismo statunitense, argomento che funziona nei Paesi del Sud del mondo.

Putin e Xi Jinping: verso il nuovo ordine mondiale

Lo scorso 21 febbraio, Vladimir Putin ha tenuto un discorso ripreso dai media occidentali soltanto nelle parti in cui si riferiva al conflitto ucraino. In realtà, il contenuto è molto più variegato ed è provvisto di elementi interessanti per chi vuole comprendere fino in fondo come la guerra non abbia soltanto una dimensione “locale”, limitata all’Ucraina e all’Europa Orientale. Oltre la classica retorica anti-occidentale, c’è un passaggio molto interessante che racchiude in sé una narrazione straordinariamente penetrante in alcune parti del Sud del mondo, che vede la Russia di Putin come l’ultimo baluardo nella difesa dei valori tradizionali. Si tratta di poche frasi molto sottovalutate ma importanti per comprendere il nuovo posizionamento di Mosca. In opposizione ai principi culturali imperanti in Occidente, che non piacciono a tutti, la Russia si fa paladina della tradizione.

Questo passaggio è stato uno dei più commentati e “apprezzati” del discorso del Presidente fuori dalla bolla mediatica occidentale. Putin fa leva sugli aspetti più controversi della globalizzazione e del capitalismo occidentale, richiamandosi a un nuovo “puritanesimo ideologico” che fa della tradizione e dei valori, come la famiglia, un baluardo contro quell’internazionalizzazione mai digerita da quei Paesi che la globalizzazione ha ancor di più marginalizzato. Uno scontro tra civiltà portato alle estreme conseguenze e che ha l’obiettivo di instaurare un nuovo ordine mondiale, non più guidato dagli Stati Uniti di Biden.

La visita di Xi Jinping a Mosca va proprio in questa direzione, seppur con i modi e le tempistiche cinesi, pieni di ambiguità e mai pienamente convinti dell’asse con Putin, il quale con la sua guerra ha un po’ scombussolato quella narrazione relativa al “rispetto dell’integrità territoriale“. Nonostante ciò i leader dei due colossi, a giudicare dalle parole di entrambi, spingono per ridisegnare la mappa degli equilibri planetari, cioè del potere di decidere, finora appartenuto soltanto agli Stati Uniti, in quanto potenza egemone.

Quella cinese e russa è una lettura del mondo che fa riferimento a un ordine multipolare, in cui la facoltà suddetta appartiene a più decisori. Da tempo si conoscono le intenzioni di Putin di proporre un quadro alternativo agli americani in cui il pianeta è diviso, come durante la Guerra fredda, in più blocchi. Cosa prontamente rifiutata da Washington che non ha alcuna intenzione di tornare a un mondo diviso in sfere d’influenza territoriali. Si tratta di un’idea superata, non compatibile con le attuali ideologie di mercato basate sul predominio economico e non più militare – nonostante quest’ultimo rivesta ancora una certa importanza.

Il nuovo ordine mondiale prospettato dai due Paesi è comunque più teorico che pratico, ma il solo fatto di aver messo sul tavolo un’alternativa spinge alcuni Paesi ad interessarvisi ugualmente. L’amicizia senza limiti di Mosca e Pechino, in realtà, lo è solo sulla carta dato che è basata soltanto sulla condivisione di un nemico, gli Stati Uniti, e sulla consapevolezza che soltanto assieme è possibile reggere il confronto con Washington. Ciò non toglie che i primi effetti del nuovo approccio alle questioni globali da parte cinese sia stato possibile osservarli di recente, quando Xi Jinping ha ottenuto un grande successo diplomatico facendo da garante per la ripresa dei contatti diplomatici tra due grandi rivali quali l’Iran e l’Arabia Saudita. Uno smacco per Biden, il quale ha sempre avuto problemi con i sauditi.

Il cambio di prospettiva operato in politica estera, spiegato da Xi Jinping di fronte all’organo consultivo durante l’Assemblea del popolo, punta a fare della Cina una “potenza responsabile“, capace di mediare tra attori terzi. Una postura più proattiva sul fronte internazionale, meno timida e più consapevole del suo ruolo nel mondo. Nonostante ciò, le coordinate attraverso cui leggere il panorama globale sono sempre le stesse: ambiguità (o armonia, come la chiamano i cinesi), sicurezza collettiva e cautela.

La sfida di Biden

Prima di passare al ruolo di Biden e degli USA, che si trovano a fronteggiare una sfida epocale che fa molto “fine dell’impero“, sarebbe opportuno approfondire il ruolo della Russia in questo confronto. Tra i due colossi economici, demografici, politici e militari, Stati Uniti e Cina, il regime di Putin rappresenta un “terzo incomodo” dotato soltanto di un potere persuasivo, cioè l’arma nucleare. Dal punto di vista meramente analitico, e quindi limitato alla sola dimensione numerica e statistica, la Russia non è una superpotenza in grado di competere con le altre due per motivi demografici, economici e militari. La guerra, poi, l’ha consegnato letteralmente nelle mani di Xi Jinping, il quale trae beneficio dallo stato di necessità russo principalmente per motivi politici ed energetici.

Inoltre, il fatto di essere rivali geopolitici non aiuta alla costruzione di una relazione alla pari. Xi Jinping ha esteso i suoi interessi in Medio Oriente, dove Mosca viene subito dopo Washington, e in Asia centrale, cioè nello spazio ex sovietico. A questo proposito il Presidente cinese ha invitato i leader di Kazakistan, Kyrgyzstan, Uzbekistan e Tajikistan al primo summit tra la Cina e i Paesi dell’Asia centrale.

Assodato che la Russia stia perdendo la propria influenza a livello regionale sia in Asia che in Europa, appare chiaro che l’amicizia senza limiti sia fortemente sbilanciata a favore di Pechino che, da un lato, si è recato a Mosca per invitare Putin a considerare l’opzione di rintavolare una discussione per mettere fine al conflitto – e questa iniziativa rappresenta, molto probabilmente, il massimo sforzo che Xi Jinping intende compiere sul fronte ucraino – mentre dall’altro ha ribadito che il rapporto con la Russia non si spingerà mai ad un’alleanza politico-militare.

Dall’altro lato della barricata si collocano gli americani, ritornati in Europa in modo stabile dopo trent’anni dalla fine della Guerra fredda per fronteggiare un’invasione militare che ha sconquassato l’equilibrio continentale non solo a livello politico ma anche strategico. Biden si trova a dover fare i conti con diversi fattori di crisi che, per un momento, hanno messo in serio pericolo la leadership americana sugli alleati europei, confusi da una situazione inedita e ingestibile per le debolissime istituzioni. Inoltre, vincere la sfida della propaganda non sarà semplice, soprattutto dopo che la narrazione ideologica ha dimostrato di non essere in grado di reggere il confronto con quella russa e cinese. Gli errori compiuti dagli americani tra gli anni ’90 e l’inizio del secolo pesano come un macigno sulla credibilità statunitense, che non può più puntare su un racconto basato sull’idealismo occidentale. A differenza dei suoi rivali orientali, all’Occidente mancano l’approccio ideologico che ha aiutato gli americani durante la Guerra fredda, e soprattutto il pragmatismo, scomoda eredità di opinioni pubbliche sempre più “sensibili” ed impressionabili.

Il conflitto ucraino si inserisce all’interno di un contesto molto più ampio rispetto al campo di battaglia. Una cosa naturale, dato il coinvolgimento delle due superpotenze a livello diplomatico e politico. In ballo ci sono due visioni del mondo contrapposte, sintetizzate dal diverso approccio di Biden, Putin e Xi alla gestione della guerra e delle sue ricadute. Nel mezzo un modello politico ed economico che non convince più e due Paesi – anzi, effettivamente uno solo – pronti a fornire “un’alternativa allettante” a chi lo richieda.

Donatello D’Andrea

Classe 1997, lucano doc (non di Lucca), ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.

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