Nei giorni in cui gli autonomisti catalani scendono in piazza per il impedire il blocco, da parte delle istituzioni spagnole, del referendum sull’indipendenza, il sindaco della città di Napoli si schiera al fianco della sindaca di Barcellona Ada Colau. Autonomia e decentramento, d’altronde, sono stati concetti spesso ripresi da De Magistris prima e dopo la campagna elettorale. Ma, al di là dei proclami e delle dichiarazioni su Napoli città autonoma, qual è lo stato dell’arte su questo versante?
Dal punto di vista del decentramento amministrativo, dopo oltre dieci anni dalla nascita delle municipalità, possiamo tracciare un primo bilancio sull’attività dei dieci parlamentini e sulla loro effettiva autonomia amministrativa e finanziaria dall’ente comune di Napoli. Se sul piano dell’immaginario le municipalità possono rappresentare una istituzione di prossimità più vicina alle esigenze del cittadino, magari declinando e dando veste istituzionale a conflittualità territoriali che hanno animato i quartieri di Napoli, sul piano pratico non si è fatto nessun passo avanti affinché questi enti potessero avere un ruolo importante sul piano amministrativo. Vuoi per incapacità di una parte del ceto politico espresso nelle municipalità, vuoi per le ristrettezze finanziarie che hanno limitato sempre di più le capacità di spesa autonoma dei parlamentini, possiamo affermare che il decentramento amministrativo è rimasto lettera morta.
Anche sul piano operativo, nonostante un apparente cambio di tendenza ad inizio del secondo mandato a De Magistris, le municipalità vengono spesso evocate ma non coinvolte fino in fondo nei processi decisionali che interessano i territori. La giunta comunale di Napoli, sempre più di rado e salvo eccezioni, dialoga poco con i referenti istituzionali municipali e, in barba al decentramento e all’autonomia, concerta poco o nulla con gli enti di prossimità. Le cose non vanno molto meglio neanche quando si parla del rapporto con i consiglieri comunali di maggioranza, a loro volta espressione di vertenze e lavori sui territori, ai quali viene spesso chiesto di sostenere la giunta senza che ci sia stata una discussione sui contenuti e sugli indirizzi degli atti.
Anche sull’autonomia della città di Napoli sono tanti i discorsi da affrontare. Il progetto di Napoli città autonoma, proprio nei giorni in cui i Catalani mettono in campo i propri corpi contro la Guardia Civil che prova a chiudere i seggi individuati per il referendum, mostra tutta la sua inconsistenza. A prescindere da cosa si pensi sull’argomento, il percorso dell’autonomia, se non strutturato in un processo politico serio, rischia di diventare elemento folkloristico da social network e trasformarsi in una “operazione nostalgia” per neoborbonici annoiati e smaniosi di rivendicare la paternità storica del primo bidet. Il concetto di autonomia, in una città che non riesce a completare il processo di decentramento amministrativo e che ha una giunta che, in alcune sue componenti, fatica a delegare e dialogare, resta qualcosa di politicamente poco interessante.
Decentramento e autonomia dunque, lungi dall’essere elementi cardine dell’attività amministrativa, diventano solo un corredo estetico della dialettica politica. È chiaro che il momento storico è delicato e che tutti gli enti di prossimità vivono un periodo di enorme difficoltà finanziaria. Ma il modus operandi, la capacità di concertazione coi territori e la costruzione di processi amministrativi dal basso verso l’alto sono elementi indispensabili se non si vuole trasformare il concetto di autonomia in un brand pubblicitario da vendere ai turisti. Napoli rappresenta un’anomalia nel panorama politico nazionale e sarebbe un peccato mortale liquidare questa esperienza amministrativa con un’ennesima speranza di cambiamento tradita.
Mario Sica
Ma il progetto di Autonomia riguarderebbe davvero solo la Città di Napoli propriamente detta e non, come dovrebbe esser naturalmente, l’Intera Città Metropolitana?