Non è trascorso mese, nel 2017, in cui le cronache nazionali e locali non abbiano dedicato un titolo alla nuova svolta, all’ennesima ripartenza, alla sospirata ripresa, che dir si voglia e a seconda dei casi, del progetto di riqualificazione dell’area ex Italsider di Bagnoli.
Del resto, non c’è da stupirsi: l’ultimo anno è stato particolarmente significativo sotto più profili. Da un punto di vista politico, la firma, a luglio, del patto in cabina di regia per il via libera al piano del Governo su Bagnoli, con il consenso personale ed istituzionale del sindaco di Napoli De Magistris, è stato interpretato come il segno della definitiva distensione tra Roma e Comune su una questione che aveva particolarmente diviso: i meriti, in estate, vennero equamente ripartiti tra un De Magistris nuovamente conciliatore con le politiche nazionali dopo mesi di proclami “antisistema”, ed un De Vincenti che, nuovo Ministro per il Mezzogiorno, assumeva allora definitivamente la sua veste di diplomatico “sbloccatore” di spinose questioni meridionali, come del resto si sarebbe notato anche in relazione ad altre vicende, come quella del Porto di Napoli.
Inoltre, non può sfuggire che, sempre in una prospettiva politica ed istituzionale, grazie alla firma del patto di luglio si è assistito alla sostanziale rivalutazione dello strumento della cabina di regia: basti pensare che, fino a fine 2016, l’organismo era simbolo, per la maggioranza consiliare napoletana, di un odioso colonialismo istituzionale, con il commissario Nastasi rappresentante di quel Presidente del Consiglio Renzi il quale, da solo, bastava ad impedire qualsiasi ipotesi di dialogo. Nessuna ipotesi di compromesso, infatti, decollava tra un De Magistris trincerato dietro le rivendicazioni dell'”autonomia” e dell'”autodeterminazione” del territorio, peraltro francamente improponibile dopo il fallimento di Bagnolifutura e il predissesto incombente sulle casse comunali che, di fatto, erano bastate a giustificare il commissariamento, e le controparti rappresentative del governo nazionale, ma anche regionale. Proprio Vincenzo De Luca è apparso spesso interessato a regolare i conti in sospeso con l’avversario politico più scomodo sul terreno di Bagnoli.
In questo senso, la caduta del governo Renzi privò, già alla fine dello scorso anno, De Luca di una fondamentale influenza sui processi decisionali su Bagnoli, non potendosi più proporre il Presidente della Regione come mediatore (interessato) tra Napoli e Roma; in secondo luogo, il cambio di esecutivo ha ridimensionato la figura di Nastasi, che è progressivamente scivolato in secondo piano, consentendo l’emersione definitiva ed il quasi monopolio della scena del neo ministro De Vincenti, appunto, il quale, con le briglie sostanzialmente sciolte che il Governo Gentiloni ha saputo dargli, ha potuto caratterizzarsi come l’unico interlocutore attendibile, per quanto severo, di De Magistris. Per il sindaco, a quel punto, l’avvicinamento istituzionale ad un organismo di Governo non è evidentemente sembrato più così disdicevole. La firma del patto su Bagnoli di luglio e i sempre più frequenti incontri al vertice tra sindaco e De Vincenti hanno dato conto pratico di questa interpretazione.
Da un punto di vista più strettamente amministrativo, invece, dopo la firma del patto di luglio si è assistito allo sblocco delle sospirate caratterizzazioni, i saggi del suolo che scientificamente indicano i livelli di inquinamento presenti nei campioni: sotto questo profilo, si è consolidato il ruolo di Invitalia, l’Agenzia dipendente dal Ministero dell’Economia, che si è occupata di indirizzare le attività di campionatura e che ha curato i primi bandi di gara per le assegnazioni delle attività di bonifica. Ad oggi, l’Amministratore Delegato Arcuri appare una delle figure esecutive e di garanzia più autorevoli dell’intera cabina di regia.
Da un punto di vista giudiziario, infine, nel corso del 2017 si è finalmente avviata alla conclusione, almeno in primo grado, la triste vicenda di Bagnolifutura: le richieste di condanna dei magistrati per 8 imputati (a fronte di 6 di assoluzione), in attesa della sentenza dipingono un quadro a tinte molto fosche dell’esperienza della partecipata che, negli ultimi anni – seppur in vesti amministrative diverse e con giunte comunali diverse, tra cui anche la prima di De Magistris, con cui si concluse la sua difficile esperienza – ha sperperato centinaia di milioni di euro di soldi pubblici senza fare assolutamente nulla per una Bagnoli che, è bene ricordarlo, non rappresenta solo una questione urbana, ma una persistente emergenza ambientale e sanitaria. Inoltre, indipendentemente dall’esito dell’accertamento delle responsabilità penali, è stato accertato, anche da perizia giudiziaria, che Bagnoli non è mai stata bonificata, nonostante, appunto, i milioni stanziati e spesi (?) in decenni. Perciò, faticosamente integrandosi le caratterizzazioni e le prime bonifiche con i sequestri dei suoli da parte dell’attività giudiziaria, bisognerà ripartire di nuovo da zero, con interventi lunghi e costosi che interesseranno, innanzitutto, la famigerata colmata.
Il 2018, quindi, a quanto pare sarà davvero quello dell’ennesima ripartenza. Un percorso le cui tappe, fino a pochi giorni fa, restavano immerse ancora nel grigiore di scadenze incerte e persino di stanziamenti di fondi potenzialmente insufficienti. È bastata l’aria natalizia a spazzare via, a quanto pare, alcuni dei dubbi residui: le ultime due settimane di dicembre sono state decisive innanzitutto per chiarire che i soldi per procedere ci dovrebbero essere. Gli stanziamenti in sede di manovra di bilancio sono stati fatti, i segnali sono sembrati incoraggianti, dopo l’allarme lanciato sulla levitazione dei costi delle bonifiche (previsti inizialmente in circa 300 milioni), «perché più che da rifare, è proprio da fare», usando le significative parole pronunciate all’esito della Conferenza di Servizi dello scorso 18 dicembre dal commissario Nastasi.
Sono i soldi, del resto, che più inquietano un Comune con le casse ormai inesistenti come quello di Napoli, con De Magistris che aveva appunto intimato alle proprie controparti governative e commissariali, convertitisi ora, da acerrimi nemici, in irrinunciabili sodali, di non azzardare passi indietro. Del resto, come accennato, sono state proprio le promesse assistenziali di De Vincenti, convertitesi poi nella pioggia di milioni del Patto per Napoli e nella favorevole delibera di Natale del CIPE, prima a convincere il sindaco a firmare il patto di luglio e poi, negli ultimi giorni del 2017, dell’opportunità di sedere in cabina di regia.
Forte del nero su bianco, dell’iter ormai concluso per l’approvazione dell’onnipresente “cronoprogramma”, De Magistris sa che, con le elezioni politiche alle porte, il sentiero è tracciato, peraltro potenzialmente a suo favore: da grande nemico, da scettico rivoluzionario e mobilitatore delle masse contro il piano del Governo schiavo del capitale e del malaffare, il sindaco ha preso decisamente in mano la situazione, sicuro di non farsela più scappare. De Magistris è entrato nell’affare Bagnoli al momento giusto, cioè quando la situazione politica era diventata favorevole ed era praticamente quasi tutto già deciso: nel 2018 non dovrà far altro che passare all’incasso.
I suoi interlocutori, del resto, sono comunque legati alla volatilità di vicende politiche che per ora non lo toccano. Infatti, se pure il commissario Nastasi, essendo ad acta, vede legata la sopravvivenza della propria carica all’esito del piano di bonifica e non alla scadenza del governo (ma la sua personale interazione con un esecutivo nazionale di un colore diverso da quello del PD è tutta da verificare), il Ministro De Vincenti è, lui sì, in scadenza, mentre il ruolo di De Luca, come detto già più in sordina negli ultimi tempi, è tutto da verificare. Insomma, che sia davvero De Magistris, alla fine, il potenziale vincitore della partita di Bagnoli, dopo mesi di ostruzionismo e persino un ricorso respinto dal Consiglio di Stato sull’illegittimità del commissariamento?
Diciamo la verità: chiudere questa storia di Bagnoli, specialmente sotto elezioni, conviene a tutti. Le perplessità residue, anche a Palazzo San Giacomo, sono sparite da tempo, e tanti saluti, ad esempio, alle rimostranze della base elettorale (e non solo) di DemA, quella dei centri sociali bagnolesi, ma anche quella dei dibattiti ormai ben strutturati organizzati da macrosoggetti come l’ex Asilo Filangieri, i cui eventi sul tema vedono la partecipazione di docenti universitari ed altri esperti. Monetizzare l’annuncio, che si spera definitivo, sulla rinascita di Bagnoli appare come il migliore proposito per il 2018 per ogni forza politica coinvolta, sia per il PD, che deve recuperare voti dopo il tracollo del 2016, sia per DemA sta cercando di capire che ruolo ricoprire alle prossime politiche.
Che De Magistris abbia però fiutato l’affare, a maggior ragione dopo l’ultima, risolutiva cabina di regia dello scorso 21 dicembre (dove sono stati definiti, tra l’altro, i tempi e i modi per la definitiva rimozione della colmata), in cui una volta di più ha ribadito che «su Bagnoli non si può più tornare indietro», lo si capisce da due segnali: il primo, è che il sindaco ha definitivamente deciso di arrogarsi meriti agli occhi degli elettori. «Diventiamo protagonisti di un risultato storico (…) Una cooperazione istituzionale senza precedenti arriva ad ottenere un risultato storico, cioè quello della bonifica integrale», ha dichiarato. Dalla denuncia di profili di illegittimità e persino incostituzionalità del commissariamento, all’esaltazione della cooperazione istituzionale in quella stessa sede: geniale.
Il secondo indizio è il rumor secondo cui DemA sarebbe in procinto di candidare un pezzo forte della propria fanteria politica proprio nel collegio di Bagnoli, vale a dire l’attuale assessore alle politiche giovanili, Alessandra Clemente. Spostandola dalla roccaforte Vomero – Arenella, si farebbe una scommessa forte, con un volto giovane che raccoglierebbe i frutti dell’inserimento super tempista di De Magistris nella corsa alla soluzione della questione Bagnoli.
Ludovico Maremonti