Fortunato Calvino, sceneggiatore, regista teatrale e drammaturgo contemporaneo, con il suo testo Ordinaria Violenza ha voluto raccontare crudamente la situazione delle donne che subiscono maltrattamenti domestici e che preferiscono tacere piuttosto che salvarsi da un destino ormai già segnato. In quest’opera dal titolo ossimorico, Calvino racconta la violenza sulle donne attraverso la storia di due ragazze che continuano a vivere in condizioni quotidiane di sopruso. Il maschio appare basso, animalesco, violento, inutile, il lettore inorridisce, rimane scosso, inerme.
Così Fortunato Calvino commenta la sua opera: “Scrivo un testo sulla donna violentata e umiliata, su quella violenza più che mai presente nella nostra tecnologica società dei consumi, sulla rabbia che quotidianamente l’uomo riversa sulla propria compagna vissuta come la ‘discarica’ di tutte le sue frustrazioni, su l’uomo che massacra di botte la donna, che la sottomette a sé fisicamente e psicologicamente. Questa storia la dedico a tutte le donne vittime della cieca violenza dell’uomo”.
Da questa e da altre opere del drammaturgo saranno estratti alcuni testi che verranno messi in scena al Pan di Napoli Sabato 4 febbraio, a partire dalle ore 17.00. Ad interpretare e a raccontare la debolezza di queste donne segnate da amori impossibili gli attori: Salvatore D’Onofrio, Rosa Fontanella, Antonella Morea, Rita Montes, Gioia Miale, Carlo Liccardo, Valeria Vaiano, che si alterneranno in una serie di letture. Tra le donne presenti per testimoniare le storie di violenza che la sua associazione raccoglie sul territorio da anni, Giovanna Fiume presidente del comitato “Donne a testa alta”.
Scrive nell’introduzione Mariano d’Amora: “Due atti unici con un unico tema ad unire le due trame: le violenze subite da donne, madri di famiglia, ad opera dei loro uomini. Belve accecate da gelosie immotivate, sfruttatori privi di sentimenti d’amore che accusano le loro compagne di colpe mai esistete. La donna, in sfregio alla sacralità della sua condizione di madre, appare come un agnello sacrificale, mai gratificata da uno sguardo di pietà o di umana comprensione. Capri espiatori di violenze che lasciano senza fiato, di cui la cronaca offre resoconti quotidiani. Il teatro, con Calvino, si fa ancora una volta specchio di una società contemporanea malata, abitata da figure femminili accecate da amori impossibili, pronte a proteggere fino alla fine i loro carnefici”.
Lo stesso Calvino afferma: “Scrivere di una condizione così diffusa, perché la violenza sulle donne è ormai all’ordine del giorno, mi sembrava opportuno e necessario, un atto di giustizia verso le vittime di tanti maltrattamenti. Una scrittura che si fa carne martoriata, offesa, uccisa. Un monito una speranza, una presa d’atto nata per suscitare emozioni. Leggendo questo lavoro ci si imbatte in una scrittura impavida, priva di mediazioni borghesi, tesa a proteggere queste figure fragili, a far nascere in loro quel desiderio/dovere di riscossa in grado di restituire la dignità stuprata. Il loro si pone come esempio per quelle generazioni di giovani madri del terzo millennio in diritto di vivere il proprio amore libere dall’ombra di un sole nero che ne offende l’identità”.
Daniela Diodato