La malattia ha inizio con il disseccamento della chioma a zone, e si propaga via via a tutto l’albero e termina con la morte della pianta. La coltivazione dell’ulivo in Salento, è ancora praticata con metodi tradizionali e la poca attenzione rivolta agli ulivi, spesso secolari, è uno dei fattori che hanno portato a dare l’allarme in ritardo questo è quanto racconta il batteriologo vegetale dell’Università della Basilicata Nicola Iacobellis. “Nella zona d’interesse”, aggiunge Giovanni Martelli, fitopatologo dell’Università e del CNR di Bari, “sono proprio le piante secolari a soffrire e morire. Nella zona colpita non ho visto impianti recenti”.

Si tratta in realtà di “Complesso del disseccamento rapido dell’olivo” (CDRO)che è l’ultima minaccia ecologica per gli Uliveti che ha di recente suscitato grandi preoccupazioni tra gli addetti ai lavori e i semplici ammiratori di queste piante secolari.

Già da tempo si è registrata una moria di ulivi che è cominciata in sordina nel Salento leccese, nell’area intorno a Gallipoli, un paio di anni fa. I primi focolai erano di modesta estensione ed erano stati scambiati per attacchi di una malattia localmente endemica, nota come “lebbra delle olive”, causata da un fungo. Il CDRO è invece esploso improvvisamente negli ultimi mesi, interessando, al momento, un’area di circa 80 km2. Ciononostante, il danno è circoscritto, così da rendere difficile trovare persone che ne possano parlare per conoscenza o competenza diretta.

ulivi-decapitatiLe cause di questa epidemia improvvisa sono state oggetto di studio dei ricercatori di Bari, in quanto non sembra esserci una causa singola. “Il CDRO”, spiega Giovanni Martelli, capo del laboratorio che si sta occupando delle indagini sulla causa della malattia, “è verosimilmente il risultato dell’azione di tre diversi attori:
il lepidottero Zeuzera pyrina (rodilegno giallo), le cui larve scavano delle gallerie nel tronco e nei rami dell’olivo che facilitano l’ingresso del secondo attore, un complesso di funghi microscopici del genere Phaeoacremonium.
Il terzo attore è il batterio Xylella fastidiosa.

La sintomatologia e la rapidità della diffusione della malattia mi avevano fatto pensare al possibile coinvolgimento del batterio e le analisi molecolari effettuate hanno confermato che l’intuizione era corretta. La presenza del batterio nei tessuti fogliari degli olivi malati è stata poi confermata da osservazioni al microscopio elettronico che lo hanno identificato nei vasi legnosi”.

Tuttavia, secondo l’agronomo salentino Cristian Casili gli alberi morti per via di questa patologia sono una percentuale davvero minima dei 9 milioni di ulivi presenti in Salento, meno dell’1%, e l’infezione è comunque a macchia di leopardo, con poche piante gravemente colpite frammiste a piante sane o debolmente affette. “Bisogna tener presente, che l’ulivo è una pianta molto resistente e con una grande capacità di ripresa. Le piante colpite erano probabilmente indebolite da tecniche colturali errate o scarse, con potature estreme che favoriscono l’ingresso di patogeni e altri fattori antropici che avevano precedentemente colpito l’agroecosistema”.

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La produzione delle olive va avanti ancora senza problemi. Anche gli alberi colpiti infatti hanno comunque prodotto frutti che vanno raccolti, in quanto sono una delle principali fonti di reddito della regione. Le norme profilattiche già messe in atto dal Servizio Fitosanitario della Regione Puglia impediscono gli spostamenti di piante e attrezzi agricoli fuori dalla zona focolaio, e hanno istituito una zona tampone che circonda l’area colpita. Non è chiaro però come queste procedure verranno fatte rispettare, anche perché occorre sia un monitoraggio completo sugli ulivi che sulle altre piante.

E’ notizia di pochi giorni fa il fatto che la strage degli ulivi in Salento è diventato un caso giudiziario. Con una particolarità. Uno dei possibili indiziati, l’Istituto agronomico mediterraneo di Valenzano (Bari), “gode per legge di immunità assoluta”, spiega il Pm di Lecce, titolare dell’inchiesta Elsa Valeria Mignone in un’intervista a Famiglia Cristiana. “L’autorità giudiziaria italiana non può violare il domicilio dell’istituto, non può effettuare sequestri, perquisizioni o confische”, spiega il magistrato.

La procura di Lecce indaga sull’origine del batterio. L’inchiesta, secondo quanto riferiscono alcuni quotidiani, starebbe seguendo due possibili strade. La prima è che il batterio sia arrivato in Puglia in occasione di un convegno scientifico che fu organizzato nel settembre 2010 dall’Istituto agronomico mediterraneo. La seconda pista ipotizza che il batterio killer sia stato introdotto con le piante ornamentali importate dall’Olanda e provenienti dal Costa Rica. L’indagine sarebbe volta ad accertare anche se vi siano “omissioni negli interventi per frenare l’epidemia da quando l’allarme è diventato conclamato”.

Fonti:  Agroalimenti e Dintorni

Marcello Cepollaro

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