A Manama, poco lontano dalla capitale del Bahrain, Hermann Tilke disegnò un circuito. Nulla di nuovo, direte, per uno abituato a disegnarli anche sui fazzoletti al bar. E in effetti è così, se solo pensiamo che all’epoca aveva appena finito di tracciare i contorni dell’autodromo di Sepang. Insomma, un periodo d’oro per la F1, quello, con richieste a destra e a manca e la voglia di estendere il culto di uno sport più che popolare in tutto il mondo.
Dodici anni dopo ritorniamo nel deserto nella consapevolezza di star vivendo uno tra i decenni più incerti della storia di questo sport, all’alba di nuovi regolamenti e concept, e col rischio che quel che c’era di pop nell’automobilismo venga risucchiato dalle pay tv tanto care al signor Ecclestone.
Il patron della F1 e il presidente della FIA Jean Todt ridiscuteranno stesso durante il weekend della gara quello che al momento è il tema più scottante del Circus. Chiaramente si parlerà del nuovo format per le qualifiche che, nonostante abbia sollevato più polveroni che pareri concordi, s’è impantanato alla grande nella burocrazia sportiva. Sappiamo che all’indomani del Gran Premio d’Australia il sistema chiamato “sedile rovente” (o “shoot out” che fa più figo) sarebbe dovuto essere cancellato. Non è stato tanto difficile fare dietrofront; tuttavia, così quando si propone un’adozione, anche un’abrogazione deve essere messa ai voti (e raggiungere poi l’unanimità). Lo Strategy Group (nel quale Jean Todt e Bernie Ecclestone, in rappresentanza della Fom, controllano due terzi dei voti) doveva proporre la variazione alla F1 Commission, che a sua volta doveva girarla al consiglio mondiale della FIA.
Si sarebbe risolto tutto in poche ore, anche con le accelerazioni permesse dal voto telematico, e oggi staremmo guardando il solito sabato di qualifiche.
A qualcuno però, Force India e Pirelli, sfiduciare così su due piedi questo nuovo sistema non è parso tanto giusto. In soldoni, è mancata l’unanimità, e senza unanimità nessun matrimonio s’ha da fare, né tanto meno l’abrogazione di una legge.
In realtà, il bandolo della matassa è abbastanza semplice da trovare, dal momento che pare ovvio che i pareri discordanti sulla questione sono figli del livello delle singole scuderie, e che un team di medio-bassa classifica tenda a voler difendere il nuovo format. Uscire e non finire neanche il Q1 significherebbe uno o due treni di gomme in più e mescole meno usurate per la domenica (mica scemi!).
Fatto sta che, l’ha detto anche Ecclestone, “è una schifezza”. Ma non è servita neanche una spassionata lettera a firma dei piloti per fermare Mr. E dal prendere le decisioni come lui sa (cioè da solo). ‘I team non hanno nulla a che fare con queste decisioni – ha detto ad Autosport– non voglio sembrare scortese o irrispettoso nell’avere questo atteggiamento, ma non è il caso in cui le scuderie possono avere voce in capitolo’.
In Bahrain, intanto, ci portiamo anche l’ennesima chiosa che recita che “le pay tv sono il futuro”. Che ci riporta un po’ al discorso che facevamo all’inizio, con la F1 che è passata dall’essere amata a furor di popolo all’essere relegata a stare solo nelle case (e nei decoder) di alcuni. Uno sport dall’appeal nazional-popolare trasformato pian piano nel giocattolo di pochi, degli introiti che servono per finanziare quei circuiti in capo al mondo (mentre si fa sì che altri, come Monza, cadano nel dimenticatoio).
Da anni la gente segue i propri eroi che mettono il sedere in una scatoletta e la fanno viaggiare a grandi velocità, tra chi si accampava con tende e roulotte sui circuiti e chi la domenica si godeva il diritto di guardarsi la gara in chiaro. In Bahrain, insomma, quest’anno andiamo più sconfortati del solito, con le troppe indecisioni che sentiamo, captiamo. E con il tifo nel sangue, almeno.
Ah, non reggono i paragoni col calcio, che qui in Italia non mancherebbero di certo.
Nicola Puca
Fonte immagine in evidenza: road2sport.com