Home Attualità Processi brevi? Si può, ecco come. Basta solo volerlo

Processi brevi? Si può, ecco come. Basta solo volerlo

Una presenza costante nell’agenda dei governi che si susseguono da decenni è il problema della eccessiva durata dei processi. Una grana che riguarda tanto il processo civile quanto il processo penale.

Sul lato civile in palio vi sono la certezza degli scambi commerciali e del trasferimento dei diritti: la lentezza e l’incertezza nella risoluzione delle controversie è considerato un vero e proprio handicap per le imprese, specialmente straniere, che intraprendono attività commerciali nel nostro paese.
In materia di processo civile, il Parlamento ha varato a marzo una legge delega che autorizza il Governo a compiere una serie di riforme indirizzate proprio allo sveltimento delle procedure e alla loro rapida conclusione.

Sul lato penale la strada sembra tuttavia più impervia: quando in palio ci sono i diritti fondamentali e inviolabili del cittadino, tra l’altro tutelati dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, l’esigenza di una ragionevole durata dei processi va ad intersecarsi, ed entra in conflitto, con l’esigenza di tutela del diritto alla difesa e con la maggior tutela delle vittime di delitti.

C’è poi una questione politica che ha trasformato la questione in oggetto di incontro-scontro tra le due principali anime del Governo di Matteo Renzi.
Da un lato il Partito Democratico, desideroso di lanciare un segnale forte per far dimenticare in fretta le disavventure giudiziarie che hanno imbarazzato il governo in questi ultimi mesi: dalle inchieste lucane che hanno coinvolto il dimissionario ministro Federica Guidi fino al Segretario del PD Campania indagato per concorso esterno in associazione mafiosa per presunti legami con il clan dei Casalesi.

Dall’altro lato ci sono Alfano e Verdini, le sponde di centrodestra della maggioranza di governo, che ereditano le preoccupazioni e le soluzioni che caratterizzavano i governi di Silvio Berlusconi. Nel 2005 il centrodestra pensò bene di risolvere la questione con un taglio lineare dei tempi di prescrizione dei processi, aumentando semplicemente le possibilità di impunità: un vero mostro legislativo. Cosa ci si può aspettare dunque da questo dibattito interno alla maggioranza di governo? Un allungamento dei tempi di prescrizione, tre anni per tutti i reati e sei per i reati di corruzione, e poco altro. Ma anche sulla corruzione – che è reato che coinvolge maggiormente la classe politica, ndr – sorgono dubbi e preoccupazioni da parte dei falchi del Nuovo Centrodestra.

Si tratta comunque di riforme che non centrano adeguatamente il problema, che è strutturale e necessiterebbe di una coraggiosa revisione di certi principi che spesso non hanno riscontri in altri ordinamenti giudiziari. Secondo l’autorevole opinione di Giuseppe Ayala, ex magistrato, parlamentare e ministro della giustizia, la soluzione sarebbe dietro l’angolo e non sarebbe neanche troppo complicata, ma significherebbe piuttosto un cambio di rotta coraggioso rispetto alla direzione intrapresa fino ad ora.
Basterebbe infatti abolire il cosiddetto “divieto della reformatio in peius” per disincentivare l’uso smodato del ricorso in appello (e in Cassazione).

Oggi chi subisce una condanna penale in primo grado ha tutto l’interesse, e nulla da perdere, nel portare i processi fino all’ultimo grado di giudizio perché la sua condanna potrà essere annullata, confermata o ridotta ma mai aumentata.

Ma soprattutto aumentano le possibilità che il processo cada in prescrizione. Se invece il condannato in primo grado rischiasse di vedere peggiorata la sua posizione, i ricorsi si ridurrebbero in modo esponenziale. Questo permetterebbe perfino di abolire la prescrizione per quei processi nei quali sia già intervenuta sentenza di primo grado.

Roberto Davide Saba

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