“I buoni artisti copiano, i grandi artisti rubano.”
Non si sa se sia stato effettivamente Pablo Picasso, una delle menti più rivoluzionarie del ‘900, ad esprimersi in questo modo, ma l’unica cosa sicura è la potenza comunicativa della frase. È forse lo stesso pensiero di Quentin Tarantino, se magari ripensasse al modo in cui ha passato gran parte della sua gioventù (guardando ossessivamente film), relazionandola poi a quella che è stata la sua carriera come sceneggiatore e regista. Tarantino in effetti sembra quasi razziare la storia del cinema, riproducendo intere scene, o solamente evocando delle “semplici” atmosfere. Ne è un esempio eclatante il “Mexican Standoff”, lo stallo alla messicana, divenuto famosissimo grazie alla tradizione degli Spaghetti Western, con il celebre Sergio Leone sul meritatissimo piedistallo. Il furto, e non la copia, sta nel fatto di saper riadattare perfettamente dei concept “classici” a quelli che sono i canoni del suo stile cinematografico. Basti pensare allo stallo nella scena finale de “Le Iene”, o alla scena del seminterrato in “Bastardi senza gloria”, che ha quasi un tocco di sadica simpatia. Sadica simpatia che è un po’ la chiave di volta del codice tarantiniano, con al centro la sua tanto amata violenza che sfocia spesso nello splatter.
Egli ha ricevuto svariate critiche nel corso del tempo per la centralità della violenza nei suoi film. Ma la violenza nei film di Tarantino è una violenza dolce, emotivamente distante. Nell’ultima scena di “Kill Bil Vol.1” per esempio, si assiste letteralmente ad una strage (quella della “Casa delle Foglie Blu”), cosa che però non fa sicuramente rimanere lo spettatore turbato, ma anzi c’è quasi un fascino in quell’ambiente che pian piano diventa sempre più rosso sangue. Il tutto unito ad uno stile registico ed un montaggio anticonvenzionale, quasi anarchico, che già da “Le Iene” (1992) si distacca notevolmente da quello che era il trend di fine anni ’80 e inizio ’90. Altra caratteristica del cinema tarantiniano sono sicuramente i dialoghi, al limite del grottesco, che riescono ad alienarsi in un modo perfetto dal resto della situazione (la diatriba sul massaggio ai piedi tra Jules e Vincent in Pulp Fiction è già leggendaria).
La genialità di Tarantino sta anche nel fatto di aver creato un vero e proprio universo parallelo tutto suo. Egli infatti ha recentemente dichiarato che tutti i suoi film fanno parte dello stesso “mondo”, e i film più irrealistici (“Kill Bill, “Grindhouse”) sono solamente dei film che personaggi di altre sue opere vanno a vedere al cinema. Il regista natio del Tennessee perciò, nella sua ormai più che ventennale carriera, ha mostrato ogni tipo di sfaccettatura possibile, saltando da genere in genere con una semplicità assurda. È riuscito a saltare infatti dal gangster movie di “Le Iene”, “Pulp Fiction” e “Jackie Brown” (quest’ultimo anche con dei tratti tipici del noir poliziesco anni ’80) alla doppietta western (“Django Unchained”, “The Hateful Eight”) passando anche per un cinema a sfondo storico (Bastardi senza gloria) o con temi più orientaleggianti (“Kill Bill”). Il suo stile può sicuramente non piacere, ma ci troviamo davanti ad un regista che tecnicamente e concettualmente è assolutamente incapace di realizzare film brutti.
Biagio Dell’Omo