Si parla solo del Job Act. Il disegno di legge delega, proposto da Matteo Renzi, dovrà essere approvato da Camera e Senato e poi essere attuato con una serie di decreti legislativi. La modifica dell’articolo 18 prevede dei cambiamenti per quanto riguarda: i Contratti, i licenziamenti, gli ammortizzatori e l’organizzazione. I primi subiranno una variazione con l’introduzione di un contratto che prevede fino a tre anni di prova prima dell’assunzione; Il licenziamento disciplinare, motivato dal comportamento del lavoratore, può portare al reintegro nel posto se così stabilito dal giudice. Quello economico, che riguarda l’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro, può portare ad un indennizzo fino ad un massimo di 24 mensilità ma può scattare anche il reintegro se il giudice accerta che la motivazione economica era infondata. Infine, per i disoccupati verranno stanziati sussidi legati ai contributi.

Molte e differenti tra loro sono le idee che hanno i parlamentari in merito alla riforma del lavoro. Giuliano Poletti, ministro del lavoro, è rimasto sul vago : “Stiamo ancora ragionando su quello che c’è da fare. Ascoltiamo la discussione e poi decideremo”. Pier Luigi Bersani, ex segretario e candidato premier del PD, commenta così: “Al voto finale della delega sul Jobs act certamente non mancherà la lealtà verso il partito e il governo”. “Voglio credere che ci sarà una battaglia fino all’ultimo argomento emendativo, ma noi siamo leali verso il governo e il Pd” aggiunge, mostrando una completa disponibilità e dignità politica. Una dichiarazione accolta con soddisfazione anche da Filippo Taddei, responsabile economico del Partito Democratico, che ai microfoni di Radio Monte Carlo commenta favorevolmente le parole del collega.

Renzi , però, rischia di perdere l’appoggio di Forza Italia che ha deciso di non votare in modo favorevole alla delega, un cambio di rotta causato dalla decisione del Premier di fare retromarcia sul reintegro e che non va sottovalutato. Ecco perché Brunetta è più radicale: “Noi avevamo detto ok a Renzi rispetto alle sue affermazioni di superamento dell’art. 18 – ha chiarito il capogruppo alla Camera di Forza Italia – ma se Renzi, per tenere insieme il suo partito, fa marcia indietro noi non potremo fare altro che votare contro e denunciare questo imbroglio“.

Suona, invece, il campanello d’allarme per i Sindacati che si mantengono prudenti. L’articolo 18 è tra quei “simboli che non invecchiano mai”, dice il leader della Cgil, Susanna Camusso. Più possibilista è Luigi Angeletti, il segretario della Uil: “Renzi mi ha abituato a distinguere velocemente tra ciò che dice e ciò che fa: voglio vedere cosa fa“. Ribadendo la disponibilità ad uno sciopero generale. Tra le varie sigle sindacali, “abbiamo qualche sfumatura diversa -ha aggiunto – ma il buon senso ci dice di aspettare e vedere cosa esce realmente, visto che credo che si tratti soltanto di un colpo politico“. Mentre, riguardo l’ipotesi di anticipare il Tfr in busta paga la Uil sottolinea che l’anticipo del Tfr “non è la strada giusta” ma che bisogna piuttosto “tagliare le tasse sul lavoro”. “Bisogna continuare – continua il numero uno della UIL – a ridurre le tasse sul lavoro. Capisco l’intenzione di dire che bisogna avere più soldi in tasca ma non è questa la strada giusta”.

Intanto il Job Act sbarca nell’aula del Senato. Da questa mattina si svolgerà la discussione generale del ddl delega e si prolungherà a Palazzo Madama, sino a martedì prossimo. Il voto degli emendamenti, invece, potrebbe iniziare non prima di mercoledì 8 ottobre.

Elena Ravel

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