Continuano le aspre lotte allo Stato Islamico, che vertono su due fronti, iracheno e siriano.
In Iraq, in particolare, al-Arabiya afferma che, secondo fonti della sicurezza locale, sono avvenute le esecuzioni di 85 membri –tra cui donne- della tribù sunnita Albunimr nella provincia di Anbar, nell’Iraq occidentale, mirino dei jihadisti perché intenzionati a punirla per non aver appoggiato la loro avanzata verso Baghdad.
Oltre ai 35 cadaveri ritrovati in una fossa comune, erano stati già 200 i cadaveri di membri della stessa tribù rinvenuti nei precedenti giorni.
Il bilancio dei morti, come riporta un report della missione dell’Onu nel Paese, continua a salire: mentre a settembre era stato di 1119 vittime, ad oggi sono quasi 1300 –tra cui 856 civili e 417 membri delle forze di sicurezza irachene- le persone che hanno perso la vita a causa delle violenze contro i jihadisti dell’Isis.
Nickolay Mladenov, a riguardo, ha espresso “la sua più grande indignazione di fronte alla morte di migliaia di persone”.
Più duro risulta essere il bilancio dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), da cui emerge che i morti, solo ad ottobre, sono stati quasi 6.000, di cui 250 minori e 112 donne e, seppur la maggior parte dei morti sono miliziani, ci sono almeno 1.064 vittime civili. Nella trincea dei jihadisti dello Stato Islamico e dei qaedisti (Nusra), invece, si contano 1.342 morti.
In Siria, invece, secondo quanto riportano sulla propria pagina Facebook gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (una ong con sede a Londra, vicina all’opposizione). sono cento i militanti appartenenti allo Stato islamico morti nei combattimenti degli ultimi tre giorni a Kobane, la città siriana a maggioranza curda assediata dall’Isis da oltre un mese. Tra le cause della morte dei miliziani, fa sapere sempre la onlus, non solo gli scontri con le milizie curde, ma anche i raid della Coalizione guidata dagli Usa.
Mentre continuano gli attacchi curdi contro l’Isis, sostenuti da migliaia di curdi anche in Turchia, attraverso numerose manifestazioni, venerdì 31 ottobre sono arrivati a Kobane i peshmerga, a bordo di più di 20 veicoli, inviati dalle autorità del Kurdistan iracheno per sostenere i curdi siriani delle Unità di Difesa del Popolo che combattono l’Isis.
Dura la reazione del leader in carcere, del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) Abdullah Ocalan, il quale riteneva che “i peshmerga sarebbero dovuti arrivare prima a Kobane”, seppur giudica positivamente il loro intervento, poiché l’Isis “ha fatto cose inaccettabili per l’umanità”.
Morena Grasso