Una settimana fa, i tunisini hanno votato per eleggere i propri rappresentati in Parlamento. Il risultato è stato inatteso: la coalizione laica e riformista, Nidaa Tounes, ha vinto le elezioni, ottenendo il 37% dei consensi e 84 deputati. Sconfitta a sorpresa, invece, per il partito islamico Ennahda, al potere negli ultimi tre anni, che ottiene solo 69 seggi. Rached Ghannouchi, il leader della formazione islamista, ha subito riconosciuto la sconfitta, congratulandosi con il presidente della formazione laica, Béji Caïd Essebsi. Un fair play importante per la democrazia tunisina: un voto trasparente e credibile ha dissipato i timori, le prudenze e le diffidenze degli osservatori internazionali, abituati agli esiti delle elezioni egiziane o libiche.
Queste elezioni hanno dimostrato che il popolo tunisino è determinato ad adeguarsi al processo democratico: la Tunisia ha vissuto una rivoluzione pacifica contro la dittatura. Inoltre, nonostante i tentativi di destabilizzazione dei gruppi islamisti più radicali, i partiti politici hanno scritto una Costituzione che riflette i valori nazionali e che definisce diritti e doveri e l’organizzazione amministrativa e politica dello Stato. Anche l’esperienza di governo del partito islamista è stata importante: Ennahada, non avendo ottenuto i risultati promessi agli elettori (lavoro, economia, sicurezza e giustizia sociale) ha rassegnato le dimissioni dal governo, accogliendo le richieste del popolo per indire nuove elezioni. E’ la prima volta che in una società araba è stato messo in pratica il principio del consenso dei governati.
Certo, ora cominciano i problemi per Nidaa Tounes per la formazione di un governo stabile: 84 seggi significano solo maggioranza relativa. Allora, la formazione può rivolgersi ai piccoli oppure può accettare l’offerta degli islamisti di creare un governo di unità nazionale. Una scelta del genere sarebbe indigesta ai laici e la via del governo di unità nazionale non sarebbe priva di rischi, perché porterebbe ad una divisione degli incarichi chiave nel governo, in cui entrerebbero anche gli islamisti che non condividono la moderazione dei vertici del partito.
Allo stesso tempo i laici non possono lasciare agli islamisti la possibilità di rafforzarsi e radicalizzarsi all’opposizione, in un momento in cui la situazione economica è molto difficile: è facile soffiare sul fuoco quando non c’è giustizia sociale. Il futuro della Tunisia è incerto, ma i suoi cittadini ci hanno offerto un grande esempio. Anche se è presumibile pensare che la nomina del prossimo Primo Ministro avvenga dopo le presidenziali del prossimo 23 Novembre.
Marco Di Domenico