In una posizione dominante della città di Napoli, sulla collina del Vomero e accanto a Castel Sant’Elmo, sorge uno dei più importanti complessi monumentali e religiosi di Napoli: stiamo parlando, ovviamente, della Certosa di San Martino.
La Certosa di San Martino, oltre ad essere collocata nel novero delle prime certose in Italia, è uno dei più compiuti esempi dell’arte barocca napoletana.
Il forte intreccio a Napoli tra arte barocca e chiese trova la sua sintesi più perfetta proprio in questa Certosa. Difatti, le chiese monumentali di Napoli si presentano per lo più sotto veste barocca: l’arte barocca, del resto, ha mutato per sempre il volto della città.
Voluta da Carlo D’Angiò, duca di Calabria, nel lontano 1325, l’ex monastero dell’ordine dei certosini inizialmente si presentava con uno stile prettamente gotico.
Per realizzare la Certosa fu chiamato Tino di Camaino, architetto e scultore senese, che tuttavia non poté completare l’incarico a causa della sua morte nel 1337. Attanasio Primario, allievo del Camaino, gli successe nel ruolo di architetto del complesso.
Inaugurata nel 1368, sotto il regno di Giovanna D’Angiò, la Certosa era in realtà già stata presa in possesso dai certosini qualche anno prima. Ad oggi dell’originale impianto gotico rimangono pochi elementi: alcune aperture con archetti in stile catalano e i suggestivi sotterranei.
A partire dagli sgoccioli del Cinquecento e per tutto il Seicento, fu realizzata una ristrutturazione della Certosa che finì per trasformarla: l’originale aspetto gotico finì per mutare e per essere sostituito dall’attuale veste barocca.
All’architetto Giovanni Antonio Dosio fu affidato il progetto di ampliamento della Certosa; per accogliere il crescente numero dei monaci bisognava realizzare nuove celle e c’era bisogno di un rifacimento del sistema idrico.
Gli ampliamenti, inoltre, portarono anche alla costruzione di due nuovi chiostri: il Chiostro Grande e il Chiostro dei Procuratori. Inizialmente, infatti, la Certosa era caratterizzata da un solo chiostro a pianta quadrata e la struttura rimase inalterata fino al 1578, quando iniziarono i lavori di ristrutturazione. Il Chiostro Grande è realizzato sulla base del preesistente chiostro trecentesco. La paternità del progetto non è nota con certezza, anche se gli studiosi tendono a riconoscerla ad uno tra Giovanni Antonio Dosio e Cosimo Fanzago.
Il Chiostro dei Procuratori, costruito alla fine del XVI secolo, nasce, invece, su un disegno di Giovanni Antonio Dosio. È realizzato su un’area che fino a quel momento era utilizzata come orto.
I lavori di ampliamento della Certosa saranno poi proseguiti da Giovan Giacomo di Conforto, che si occuperà di completare il progetto del Dosio e di realizzare la cisterna del chiostro.
A partire dal 1623, invece, si sente forte il tocco personale di Cosimo Fanzago, l’architetto che, più di ogni altro, contribuì ad arrichire il barocco napoletano grazie in particolare al suo lavoro sulla Certosa di San Martino. Sostanzialmente Fanzago prosegue il progetto di ampliamento, ma in realtà il suo compito è principalmente legato all’ “abbellimento” della Certosa: ciò avviene, innanzitutto, attraverso l’importazione di diversi tipi pregiati di marmi (di cui Napoli era carente). La sua opera si caratterizza, ancora, per la potenza decorativa: trasforma le decorazioni geometriche in elementi naturali, come fogliami e frutti. I lavori alla chiesa e al chiostro della Certosa finiranno per consacrare Fanzago come il “cuore” del barocco napoletano.
Nella prima metà del XVIII secolo, i lavori passarono prima all’ingegnere e architetto Andrea Canale e poi nel 1723 al figlio Nicola Tagliacozzi Canale, attento in particolare alle decorazioni e agli aspetti ornamentali e scenografici e, proprio per questo, definito “l’architetto-scenografo”.
Durante la rivoluzione il complesso subì danni e fu occupato dai francesi. I certosini, accusati di simpatie repubblicane, furono cacciati nel 1799, per poi essere reintegrati nel 1804. I monaci furono nuovamente espulsi e poi reintegrati, fino all’espulsione definitiva nel 1866. In quell’anno la Certosa fu dichiarata monumento nazionale e diventò proprietà dello Stato. Ancora, è proprio nel 1866 che viene aperto al pubblico il Museo Nazionale di San Martino, per volontà di Giuseppe Fiorelli, archeologo napoletano.
Il Museo è dedicato alla storia partenopea e ai ricordi del Regno di Napoli, presenta una sezione navale, una sala delle carrozze e una suggestiva e ampia esposizione di presepi della scuola napoletana (al cui interno si trova il “presepe più bello di Napoli”, ossia il presepe Cuciniello).
Uno degli spazi più suggestivi della Certosa sono i già citati sotterranei gotici, che costituiscono le fondamenta trecentesche della struttura. I sotterranei rappresentano una rilevante opera d’ingegneria, capace di sostenere l’edifico e di costituirne il basamento. Appare verosimile l’idea che Tino di Camaino nel suo progetto iniziale abbia attinto e incorporato preesistenti strutture di tipo difensivo del castello di Belforte.
I corridoi dei sotterranei presentano un’esposizione di sculture in marmo, sistemate secondo un ordine cronologico, ma allo stesso tempo rispettando il contesto di provenienza. La raccolta si è formata attraverso acquisti e donazioni e, ad oggi, comprende circa centocinquanta opere in marmo.
Da ricordare è anche la raccolta epigrafica, archivio di pietra che con le sue iscrizioni non fa altro che testimoniare e raccontare la storia della città.
La stessa Certosa di San Martino ha attraversato pagine e pagine del passato partenopeo, a partire dal lontano ‘300. Dall’alto della sua posizione dominante, ha visto il susseguirsi della storia e degli stili artistici, senza restare mai distaccata dai cambiamenti.
Perché nello scorrere del tempo ha reinventato sé stessa e si è trasformata, fino a diventare quello che è adesso: uno dei più riusciti esempi di architettura e arte barocca. Oltre che un capolavoro inestimabile del patrimonio artistico partenopeo.
Sito: www.polomusealecampania.beniculturali.it
Vanessa Vaia