Caro PD,
magari quando ti arriverà questa lettera sarai ancora nel pieno del voto, magari starai scrutinando le schede, o magari starai festeggiando la vittoria di questo o quell’altro candidato. In ogni caso la lettera che ti sto scrivendo potrà esserti utile, perché contiene dei suggerimenti e delle richieste su come vorrei che fosse il partito dopo queste Primarie.
Io sono una studentessa di 20 anni preoccupata per il suo futuro lavorativo, per la paura di essere discriminata in quanto giovane e in quanto donna. Ma sono anche un lavoratore precario di 32 anni che vorrebbe mettere su famiglia e non ci riesce senza un lavoro fisso. E sono anche una famiglia appena arrivata dall’Eritrea dopo un viaggio estenuante, in cerca di un lavoro qualunque e di una vita quanto meno dignitosa.
Se scrivo questa lettera è perché segretamente sono anche un aspirante giornalista, e in questo scritto vorrei dire la mia sul PD anche attraverso un metodo molto ‘giornalistico’: quello delle 5 W, che in questo caso si riducono alle ‘3 C’: Cosa, Chi, Come.
Dalle mie storie avrai notato che c’è una parola chiave in comune: lavoro. Ecco da Cosa si dovrebbe ripartire dopo le primarie.
Le azioni di questo governo sono sicuramente scellerate: un impianto esclusivamente assistenzialista con il Reddito di cittadinanza, soldi ai pensionati con Quota 100 e meno tasse ai ricchi con la Flat Tax. E nessun provvedimento per giovani e lavoratori. Ma come posso votare un partito che ha abolito l’Articolo 18, riuscendo lì dove neanche Berlusconi in vent’anni si era mai azzardato ad arrivare? Cosa lo avete combattuto a fare per vent’anni se poi alla fine la “rivoluzione liberale” che chiedeva l’ex Cavaliere l’avete fatta voi (vedi Jobs Act)?
E no, non voglio accontentarmi di sentirmi rispondere: “Sì, ma il PD si è battuto per i diritti civili”. Indubbiamente sono state fatte cose su quel versante che hanno portato avanti il paese. Ma non aver voluto insistere sullo Ius Soli per non fare torto ad Alfano e Verdini rimane una macchia nerissima. E non bastano le giustificazioni del tipo: “Non avremmo avuto i voti, e con la fiducia sarebbe caduto il governo” perché allora vuol dire che quel governo meritava di cadere sullo Ius Soli. Sarebbe stata una dimostrazione di forza, come a dire: “Noi crediamo davvero in quello che facciamo”. Sfoggio di un carattere che evidentemente al momento è, in questo partito, assente.
Ricominciamo, dopo queste primarie, a parlare di diritti: per i giovani, per le donne, per i lavoratori, i precari, i disoccupati, per i migranti. Non vergognamoci di fare nostro il tema della lotta alla corruzione e dell'”onestà” che altri hanno usato in maniera strumentale. Affrontiamo il grande tema del cambiamento climatico e dell’ambientalismo, che sta fungendo da binario per la ripartenza delle sinistre scosse dalla fallimento del modello socialdemocratico. È finita l’era del centrosinistra: negli anni il centro si è mangiato la sinistra. Abbandoniamo la chimera della ‘vocazione maggioritaria’: con le forze politiche si discute dopo le elezioni, ma il nostro programma deve essere chiaro e coerente.
Sì, ma Chi deve farle tutte queste cose? Qual è la classe dirigente che avanza nel partito?
La parabola di Matteo Renzi deve insegnare una cosa: in quel PD c’era, e c’è, una voglia matta di rinnovamento. Chiunque ha creduto in Renzi, non prendiamoci in giro: nel 2014 alle Europee lo votarono in 11 milioni, per quel famoso 40% che ha segnato il picco della sua traiettoria politica e l’inizio di una discesa inarrestabile. Ma se il ‘semplice senatore di Scandicci’ ci ha mostrato l’esigenza di una “rottamazione”, il suo percorso ci insegna anche un’altra cosa: che non basta essere giovani, ma bisogna dire e fare cose di sinistra. Se lo slancio della gioventù non è accompagnato da idee coerenti, la fiamma della fiducia si spegne presto.
Quel che è certo quindi è che bisogna aprire al contributo di nuovo capitale umano. Se il Movimento 5 Stelle ha preso tanti voti è anche perché ha presentato una nuova classe dirigente, pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni. L’estremo è rappresentato dai parlamentari che arrivano completamente impreparati al loro ruolo, convinti che l’onestà sia l’unico requisito necessario. Cosa deve fare invece oggi un giovane per entrare nel PD e rendersi utile? Rivolgersi ai ‘signori delle tessere’, come li definiva all’indomani del 4 marzo Nicholas Ferrante, 21enne militante PD di Avellino, nel suo inascoltato appello. Non c’è spazio per nuove voci che abbiano un’idea della politica diversa da quella dei favoritismi e delle “reciproche fedeltà”. Apriamo i circoli di partito, non solo per le primarie; lasciamo che prendano aria.
E qui si pone anche il problema del Come realizzare tutto questo, e come comunicare con i possibili elettori.
Bisogna costruire anche forme alternative ai circoli. È vero, la democrazia diretta digitale ha già dimostrato in più occasioni la propria inadeguatezza rispetto a decisioni importanti. Ma allo stesso modo è inaccettabile che un partito ci metta un anno esatto (!) per convocare un congresso all’indomani della peggior sconfitta elettorale della propria storia. Nell’era in cui si governa attraverso i Tweet, è anacronistico pensare che l’Italia possa aspettare per un anno le primarie che risolvano le liti interne ad un partito, per giunta ora in minoranza, come il PD. La pazienza ha una sua scadenza, e le ultime elezioni politiche ce l’hanno dimostrato in maniera abbastanza chiara. La burocrazia non può bloccare un partito: se la tecnologia fornisce strumenti per aiutare il processo democratico, possibilmente senza snaturarlo, ben venga.
E parallelamente alle forme di democrazia interna, bisogna adattare anche le forme di comunicazione ai tempi che cambiano. Le 91 pagine di mozioni congressuali di Giachetti (21), Zingaretti (43) e Martina (27) dimostrano chiaramente quest’esigenza. In quanti, presi dalle fatiche della vita di tutti i giorni, hanno avuto la possibilità di leggerle per intero per arrivare alle primarie preparati? Scommetto non molti. Fornire strumenti di conoscenza su diversi livelli, magari nel caso delle mozioni riassumendo in brevi punti gli argomenti fondamentali, dev’essere una priorità. E allo stesso modo va rivisto l’atteggiamento del partito sui social: che lo si voglia o no queste nuove forme di comunicazione hanno assunto una posizione fondamentale nel dibattito e nella ‘lotta’ politica. Disprezzare un Salvini perché le usa in maniera efficace non ha senso: accettiamo lo scontro anche su quel campo, pur non snaturandoci (niente pane e nutella, per dire).
Mi rendo conto che questa pianificazione può sembrare quasi – ironia della sorte – una mozione congressuale: non lo è. Va intesa invece come una ‘road map del deluso di sinistra’, in cui probabilmente, o almeno lo spero, si ritroveranno più persone possibili ascrivibili a questa categoria.
Oppure intendetelo semplicemente come uno sfogo, un disperato sfogo di chi si sente troppo giovane per abbandonare già tutte le speranze di un paese migliore. “Non lasciateci inascoltati”, è il nostro unico grido.
Tua fino alla prossima delusione,
La Sinistra.
Simone Martuscelli