Monza 2006, podio: Michael Schumacher festeggia la sua ultima vittoria con la tuta rossa davanti al popolo italiano. Poco dopo annuncerà il suo (primo) ritiro dalla F1. Con lui sui gradini più bassi ci sono Kubica e un ragazzotto finlandese di 27 anni. Kimi Raikkonen è in rottura con la Mc-Laren, e l’abbraccio inaspettato del Kaiser durante gli inni è il segnale. Non ci sono più dubbi su chi prenderà il suo posto in Ferrari, nel 2007.
Al primo anno Iceman riesce nell’impresa, trionfando nel mondiale e dando ragione a chi (un 7 volte campione del mondo) aveva puntato su di lui. Vince al termine di uno dei rari momenti fortunati e fruttuosi della sua carriera, sopravanzando chi di lì a un decennio (Lewis Hamilton, quell’anno al debutto) si sarebbe dimostrato un vero e proprio crac nella F1 che conosciamo.
È passato ormai più di un decennio, eppure dopo quasi 39 primavere Raikkonen è ancora ad oggi l’ultimo campione del mondo Ferrari. Superstite, insieme a Fernando Alonso, della F1 che fu, dell’era Michelin/Bridgestone e del periodo d’oro che la Rossa e il motorsport italiano vissero (erano anche gli anni del Doctor in MotoGP) nei primi del duemila.
Oggi in pista ci sta ancora, con la sua ingombrante esperienza e un ruolo che dopo 4 anni di ritrovato rosso Ferrari è sempre più in dubbio. Da almeno un paio d’anni, ogni estate, infatti, i pochi acuti mediatici che lo riguardano mettono in risalto l’aspetto cruciale del rinnovo contrattuale.
Sono state poche le valide alternative che avrebbero incontrato nel passato gli interessi del team tanto da permettersi di appiedare un pilota del calibro di Raikkonen, che per di più è estremamente legato e ben voluto dalla scuderia per esperienza e contributi non indifferenti. Acuti e buone prestazioni che Kimi pare tiri fuori solo quando c’è da sudarsi il pezzo di carta, con la consapevolezza inconscia che ogni anno potrebbe essere l’ultimo.
Va detto che il mercato è ristretto (il ritiro di Rosberg ha spostato alcuni equilibri), e soprattutto che la policy adottata da Ferrari non sembra molto aperta a forzare l’inserimento dei giovani in prima squadra. Ci ha pensato per Verstappen (perché chi non lo farebbe) e nel mentre sono passati per Maranello gente come Giovinazzi, Vergne e – ora – Kvyat (con Leclerc che ormai è solo questione di tempo, ma ci aspettiamo vestirà la tuta rossa).
Un atteggiamento cautelativo, questo, che la Ferrari sa di potersi permettere. Almeno fintanto che – come ad oggi – porta a casa punti, podi e la soddisfazione di aver tolto a Mercedes il dominio assoluto dell’era ibrida.
Finora in Ferrari ha attaccato una sola punta, e lì dove in molte occasioni la forza individuale di Vettel abbia superato evidentemente il compagno, in altre la sorte o la traballante gestione muretto hanno palesato il diverso peso di una metà del box rispetto all’altra. A Raikkonen manca mordente, anche se di qui a considerarlo bollito ce ne passa.
Velocità ne abbiamo, esperienza pure. E per quanto ne dicano i tifosi, alla Ferrari al momento basta questo. Inutile rischiare un pilota giovane e che porterebbe a dover spostare l’attenzione su di sé, o che trascinerebbe aspettative e rivalità interne, finché qualcuno (come Kimi) fa ancora bene il suo lavoro. O almeno finché in Ferrari (e nella F1) non si impari meglio a gestire un team al completo (tutti e due i piloti e non uno solo).
Al momento Kimi sta disputando forse la sua migliore stagione da quando è tornato in Rosso. Dopo due podi fortuiti che hanno premiato il suo ritmo sia a Le Castellet che in Austria, Iceman ha ripagato i due ritiri a inizio stagione ed è terzo in classifica piloti. A oggi avrebbe potuto guardare Hamilton e Vettel ad almeno una quindicina di punti in meno di distacco, ma quel che è certo è che la matematica di metà stagione lo ha clamorosamente rilanciato nella lotta mondiale.
Due volte davanti al compagno di squadra nelle ultime due uscite (mettendo così una pezza agli errori di Vettel), quattro volte su sette in totale. Ha momentaneamente portato la Rossa al primo posto nel mondiale costruttori, e ha iniziato a carburare anche in qualifica – a sprazzi come al solito. Manca però la cattiveria del Raikkonen che nel 2003 metteva paura a Schumi, che in tre anni sfiorò due mondiali (tradito solo dalla malasorte) e che nel 2009 della mediocrità si regalò la sua ultima vittoria in rosso, a Spa. Non ci sono convinzioni, quelle di potersi regalare ancora qualcosa nella sua permanenza in F1, e non possono esserci se dall’altro lato mancano incoraggiamenti concreti.
D’altro canto, Kimi un regalo se lo sta già facendo: chiudere la carriera in modo invidiabile. Un gran signore a togliersi di mezzo quando il banco Santander premette per l’inserimento di Alonso nel 2010 (pagato profumatamente, levò le tende per dedicarsi ai rally), e ora tanto più professionale da non recriminare nulla a un team a cui potrebbe chiedere, invece, di più. Che futuro sarà senza Ferrari dovrà deciderlo in parte anche lui, visti i recenti probabili interessamenti della Mc-Laren. Sarebbe un ritorno alle origini, un salto in basso alla Alonso, che è difficile capire fin quanto potrà interessare uno come lui. Intanto, stentiamo a credere che Kimi non dorma sonni tranquilli.
Nicola Puca
Fonte immagine in evidenza: f1grandprix
In realtà sul podio di Monza 2006 con Schumi e Kimi c’era Robert Kubica! Correggete perché è un peccato rovinare un così bell’articolo con un’inesattezza simile.
Ti ringrazio Angelo, perdona la mia svista!