We Play Green è il progetto lanciato dal calciatore norvegese della Sampdoria Thorsby che punta a sensibilizzare i calciofili sulle tematiche ambientali. Dall’infanzia in Norvegia al Marassi di Genova: il percorso del centrocampista cresciuto nell’Heerenven lo ha portato a ragionare approfonditamente sulle questioni critiche relative al riscaldamento globale e a trasformare le sue idee in azione pratica.
È un po’ figlia del senso comune quella concezione che identifica il mondo del calcio come un intoccabile regno intriso di frivolezza, denaro e noncuranza: un ecosistema a sé, un iperuranio costellato di problemi distanti dalle dinamiche reali e per questo separato dalla realtà da un insanabile iato. Spesso – e da qui si alimenta il giudizio negativo sul calcio – le necessità percepite dalle istituzioni che regolano il funzionamento di questo sport si pongono in aperto contrasto con quelle che attengono alla realtà e che devono muoversi verso la tutela delle individualità e/o di specifiche categorie sociali. E così assistiamo all’assegnazione di competizioni nazionali e internazionali in Stati ancora eccessivamente arretrati nel campo dei diritti civili, fino al limite dell’oscurantismo.
Esempi rilevanti sono offerti dalle Supercoppe Italiane giocate in Arabia Saudita (a Gedda e a Riyadh, rispettivamente nel gennaio e nel dicembre 2019) e dal Mondiale che si disputerà il prossimo anno in Qatar. Poco importa se in Arabia Saudita l’attenzione riservata ai diritti delle donne sia minima o che in Qatar siano morti circa 6500 migranti impegnati nella costruzione degli impianti destinati ad ospitare la più importante competizione per Nazionali: i ricchi contratti di sponsorizzazione e gli introiti stellari rimpiccioliscono ogni istanza sociale, il cui ruolo viene arbitrariamente minimizzato davanti ad un bene superiore.
Morten Thorsby: il vento del cambiamento arriva dalla Norvegia
Poi, però, qualcosa arriva a macchiare quel senso comune che mortifica – a ragione – l’impegno meramente apparente delle istituzioni calcistiche verso le istanze sociali di rilievo: è un vento di novità che stravolge – o ci prova – tutte le logiche di un calcio votato esclusivamente alle ragioni economiche. È il nuovo che avanza e che ha le fattezze di un ragazzo norvegese di 25 anni. Un metro e ottantanove di altezza, capelli biondissimi, curriculum discreto ma aspettative molto elevate, perché se la tecnica è importante è la testa che fa la differenza il più delle volte, e quella di Morten Thorsby ha delle premesse (e delle promesse) molto importanti.
Morten di mestiere fa il centrocampista nella Sampdoria, una delle due squadre che incendia la competizione calcistica a Genova. È stato portato in Italia nel luglio 2019 grazie all’intuizione dei dirigenti doriani, che hanno approfittato della situazione contrattuale del ragazzo per strapparlo all’Heerenven, squadra dell’omonima città che milita nella massima serie olandese, l’Eredivisie. Mediano puro, ma anche mezz’ala o trequartista (all’occorrenza anche terzino, il che la dice piuttosto lunga sulla sua duttilità e sulla disponibilità al sacrificio), all’inizio Thorsby ha faticato a trovare il suo posto in un campionato che, nonostante la crisi, dispone ancora di un tasso tecnico discretamente più elevato rispetto a quello olandese.
Il primo gol è arrivato alla fine della sua prima stagione in maglia blucerchiata, nel giugno del 2020 al rientro dalla “pausa” imposta dalla Covid, ma non è stato casuale. Sì, perché il ragazzo originario di Oslo ha un bagaglio tecnico che gli consente di garantire una discreta quantità di gol, caratteristica pregevole per un centrocampista, ancora più se gioca davanti alla difesa. Nelle sue ultime due stagioni in Olanda aveva segnato undici reti e offerto cinque assist, in Italia per ora ha segnato cinque gol, di cui tre nell’unica stagione – la scorsa – da titolare indiscusso, fornendo due assist.
We Play Green: l’assist di Thorsby contro la crisi climatica
Equilibrio, gestione, quantità e qualità, insomma: il metronomo della Sampdoria è anche entrato definitivamente nel giro della Nazionale del suo Paese, contribuendo alla realizzazione di un progetto tecnico che basa il proprio sui giovani (tra i quali c’è un certo Haaland). Una linea verde di cui è protagonista in campo… ma anche fuori. Ciò che contraddistingue Thorsby da tanti altri suoi colleghi, infatti, è un particolare attaccamento alla causa ambientalista che non si limita alla mera retorica di circostanza. All’inizio dell’attuale stagione calcistica ha deciso di lanciare un segnale forte all’esterno, cambiando il numero dietro la propria casacca: non più il 18 che lo ha accompagnato nelle prime due stagioni italiane ma il 2.
Chi mastica qualcosa di calcio sa bene che non è usuale per un centrocampista esibire un numero tipico di chi di ruolo fa il terzino, ma la scelta è stata simbolica: la decisione di Morten, infatti, è andata incontro alla necessità di portare avanti una sensibilizzazione sul tema dell’aumento medio della temperatura globale, che, in base agli Accordi di Parigi conclusi nel 2015, non deve superare proprio i due gradi e che, anzi, dovrebbe attestarsi intorno agli 1,5 gradi.
La decisione del calciatore, se considerata in maniera così decontestualizzata può legittimamente apparire come l’ennesima ostentazione di un impegno destinato a non uscire mai dalla sua dimensione teorica per farsi azione pratica. In realtà, la scelta di Thorsby fa seguito ad una manovra ben più concreta, la creazione della fondazione “We Play Green“, piattaforma no-profit che si pone l’obiettivo di creare un calcio rispettoso delle problematiche ambientali (e, per questo, sostenibile) e sensibilizzare gli appassionati rispetto all’urgenza di adottare azioni concrete per porre un freno al riscaldamento globale. L’attivismo di Morten – per sua stessa ammissione – affonda le radici nella sua adolescenza trascorsa in Norvegia, dove ha avuto la possibilità di instaurare un rapporto speciale con la natura, fondato sull’ammirazione e sul rispetto.
Tutto ciò ha assunto dei connotati pratici quando il ragazzo ha scoperto che «Negli ultimi cinquanta anni l’uomo ha distrutto la propria relazione con la natura. Non possiamo continuare in questo modo: cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e inquinamento dell’aria sono tutti effetti di un problema più grande, e cioè che non abbiamo un modo sostenibile per vivere. Da qui è nato il mio impegno».
Da queste considerazioni, e dall’incontro – avvenuto lo scorso anno – con l’ex ministro per l’ambiente Sergio Costa, è nato proprio We Play Green, progetto destinato a garantire un supporto nella lotta contro la crisi climatica a partire dal mondo del calcio.
Nei programmi – a detta dello stesso Thorsby – c’è anche l’idea di creare una «Sustainability League, una competizione con la quale vogliamo misurare l’impatto ambientale delle squadre attraverso l’utilizzo di un sustainability index. Vorremmo partire nel 2022. Certamente saranno coinvolti anche i tifosi, il loro supporto è importante per fare la differenza. Dobbiamo servirci di squadre e giocatori per alimentare questa sensibilizzazione. Ci sarà un Fan Club in cui ogni tifoso potrà entrare, per unire tutti sulle tematiche ambientali».
Una spinta decisiva sul piano del contrasto ai cambiamenti climatici che proviene proprio dall’Italia in un momento particolarmente importante: dal 28 settembre al 2 ottobre, infatti, proprio a Milano verranno ospitate le fasi preliminari della Cop26, di cui l’Italia occupa la presidenza in condivisione con la Gran Bretagna. L’impegno di Thorsby è emblematico di uno stravolgimento concettuale: il calcio, insomma, non sa solo essere un sistema orientato alla logica del profitto, ma ha anche la forza di farsi cassa di risonanza per le grandi battaglie del nostro tempo, strumento attivo al fianco della società civile.
Il progetto We Play Green è nelle sue fasi embrionali ma potrebbe assumere dimensioni rilevanti attraverso l’impegno congiunto di club e istituzioni: magari se ne potrebbe parlare in un tavolo di discussione ad hoc, tra una Super League, una riforma della Champions e qualche strana proposta per le assegnazioni dei futuri Mondiali.
Vincenzo Marotta