“Il sindacato naturalmente fa il suo mestiere. In bocca al lupo e buon lavoro. Però noi andiamo avanti, perché il nostro obiettivo non è quello di fare una guerra politica, noi dobbiamo rimettere in moto l’Italia, rimetterla in piedi e non molliamo di un centimetro“. Ѐ così che Matteo Renzi ha voluto commentare la guerra inaugurata dai sindacati, in particolar modo da quelli capeggiati da Susanna Camusso e Maurizio Landini, durante un’intervista rilasciata a Prima Pagina su Canale 5. “Le dinamiche parlamentari le vedremo alla Camera nei prossimi giorni. Se ci sarà bisogno di mettere la fiducia, metteremo la fiducia. Quello che è importante è che la fiducia non la perdano quelle donne e quegli uomini che vogliono ampliare il lavoro in Italia”.
Nonostante il premier italiano affermi di non voler retrocedere dalle scelte effettuate, è indubbio che questi siano giorni difficili per il governo. Oltre ai sindacati e alla drammatica vicenda vissuta dagli operai di Terni, Matteo Renzi deve fare i conti anche con la sinistra radicale del PD, intenzionata più che mani a far sentire la sua voce sul Jobs Act e sulla legge di stabilità, arrivando anche a minacciare una scissione.
E se dai salotti di Canale 5 il premier vola direttamente a quelli di Rai Uno -in particolar modo a quelli di Bruno Vespa– il succo del discorso di quanto sta accadendo nel Paese resta sempre lo stesso, soprattutto sul tema lavoro e sindacati: “La delega sul lavoro alla Camera non cambierà rispetto al Senato. Alcuni dei nostri non voteranno la fiducia? Se lo fanno per identificarsi con la sinistra più radicale, facciano pure, ma se mettono in pericolo la stabilità del governo o lo fanno cadere, le cose naturalmente cambiano” e ancora “a differenza del passato, io non ho il complesso del nessun nemico a sinistra. Non accetto la logica dello spostarci a sinistra anche noi per impedirlo. Ѐ un progetto identitario fine a se stesso e certo non destinato a cambiare l’Italia. Lo rispetto, ma non mi toglie il sonno. Il sonno me lo tolgono le crisi industriali, i disoccupati, la mancanza di peso nella lotta alla burocrazia, certo non Vendola o Landini“.
Insomma, il premier sembra non temere nessuno, ma è positivo sottovalutare la mobilitazione messa in atto soprattutto da Maurizio Landini, ormai considerato dai media italiani come l’anti-Renzi per eccellenza? A dar risposta a questa domanda è probabilmente lo stesso segretario della FIOM, il quale ha affermato che “abbiamo la maggioranza dei consensi, bisogna convincere Renzi che contro il lavoro non va da nessuna parte. Metteremo in campo qualsiasi azione possibile sindacale e legale dentro e fuori le fabbriche. Il governo può anche chiedere e ottenere la fiducia, ma noi non abbiamo alcuna intenzione di fermarci“.
Incessanti sembrano invece essere le preoccupazioni sorte nella minoranza del PD. Per il presidente della Commissione lavoro, Cesare Damiano, è assolutamente “necessario correggere contraddizioni e limiti della legge di stabilità e migliorare la delega sul lavoro. Bisogna tutelare le nuove assunzioni nel caso di licenziamenti discriminatori e disciplinari non giustificati“, mentre per Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, “se non dovesse esserci nel testo neanche la scelta della direzione del PD sarebbe molto grave. Io, personalmente, non voterei a favore“. Più morigerati sembrano essere Alfredo D’Attore e Stefano Fassina, soprattutto di fronte all’opzione fiducia. “Tenendo conto del clima sociale che c’è nel Paese, sarebbe irresponsabile blindare la delega alla Camera e non consentire le necessarie correzioni” ha detto D’Attore, mentre per l’ex viceministro dell’Economia, porre la fiducia sarebbe “un segnale di debolezza politica, grave sul piano costituzionale“.
Maria Stella Rossi