Negli ultimi anni i ministri e i politici hanno sempre risposto alle domande circa le cause del debito pubblico “È colpa delle spese folli della Prima Repubblica” e lo ripetevano convintamente, al punto che qualcuno poco informato avrebbe potuto finire per crederci. Noi, però, siamo soliti andare oltre le dicerie, per cui ecco gli stock di debito degli Esecutivi che si sono susseguiti dall’inizio della Seconda Repubblica al 2011:
– media Governi Prima Repubblica: 47,5 milioni di euro di debito giornalieri (Totale debito pubblico 795 miliardi di euro);
– media Governi Amato e Ciampi: 285 milioni di euro di debito giornalieri (Totale debito pubblico: 994 miliardi di euro);
– media I Governo Berlusconi: 330 milioni di euro di debito giornalieri (record);
– media Governo Dini: 207 milioni di euro di debito giornalieri;
– media I Governo Prodi: 96 milioni di euro di debito al giorno;
– media Governo D’Alema: 76 milioni di euro di debito al giorno;
– media Governo Amato: 124 milioni di euro di debito giornalieri;
– media II e III Governo Berlusconi: 124 milioni di euro di debito al giorno;
– media II Governo Prodi: 97,5 milioni di euro di debito pro die;
– media IV Governo Berlusconi: 217 milioni di euro di debito al giorno.
I dati citati si riferiscono all’ultimo giorno di pieno potere di ogni Esecutivo, ossia prima di eventuali dimissioni o di fine mandato (periodo in cui si è in carica solo per sbrigare gli affari correnti). Abbiamo utilizzato i dati e le serie storiche della Banca d’Italia, la rivalutazione a oggi lira/rivalutazione pil con annessi deflatori (per depurare la crescita del reddito nazionale dall’aumento dei prezzi).
Cari lettori, benvenuti a questo nuovo numero de “The economist corner”. Quest’oggi ci occuperemo del debito pubblico e di quanto talvolta sia utile, dopo aver dato la nostra personale risposta a chi sostiene che sia tutta responsabilità della Prima Repubblica.
Bisogna sottolineare subito la differenza fra deficit, ossia il debito accumulato in un anno, e debito pubblico, cioè la somma dei deficit. Riportiamo subito questa differenza perché l’onorevole Anna Finocchiaro non la conosceva quando fu intervistata da “Le Iene” e, poco dopo, ovviamente circolava il suo nome per la Presidenza della Repubblica.
Non potendo discutere i numeri in quanto oggettivi, si potrebbero fare molte valutazioni annettendo questa tabella di Wikipedia (vedi qui), in quanto ricorrere al deficit in periodi di scarsa crescita è un suicidio che aumenta notevolmente il rapporto debito pubblico/pil, se non si fanno interventi mirati, dacché il disavanzo cresce più in fretta del reddito.
Perché l’anno scorso il rapporto defitit/pil ha toccato il record (133,4%) nonostante la cura di austerità? Ecco le principali cause:
1) il pareggio di bilancio. Non è pensabile che un Paese non possa ricorrere al disavanzo per migliorare la sua qualità della vita ed il suo prodotto interno prospettico. Esempio: si accende un debito statale di 50 miliardi per l’assestamento idrogeologico dell’Italia. Si dà lavoro a migliaia di persone e si smette di spendere soldi extra a causa di catastrofi annunciate (vedi Genova);
2) carico fiscale elevato. Prima del 2011, l’Italia aveva una tassazione al di sotto della media europea aumentata a dismisura dal IV Governo Berlusconi in poi. La maggior parte del reddito italiano è interno (importato solo 30%) quindi all’aumento della tassazione è corrisposta una diminuzione delle entrate fiscali. Esempio: aumentare l’iva al 23% ha ridotto entrate e consumi perché l’effetto è uguale ad un taglio dello stipendio e, riducendo la retribuzione, diminuiscono i consumi, quindi le entrate fiscali. Lo stesso dicasi per le accise sulla benzina ed ogni aumento del carico contributivo;
3) elevata spesa per gli interessi. Negli anni ’80 i tassi di interesse sui titoli di Stato era fissato dal Governo e, a volte, era anche in doppia cifra. Basti pensare che oggi l’Italia è dietro Francia e Germania per spesa pubblica in welfare ma, aggiunta la spesa per interesse (80 miliardi annui), le supera.
Concludendo: è opportuno non festeggiare il 7 luglio perché “si finiscono di pagare le tasse allo Stato” dacché lo Stato siamo noi e la nostra spesa pubblica non è così folle come ci raccontano. Sarebbe molto meglio decidere come investirla visto che 1€ di spesa pubblica genera in media un ritorno di 1,5€, mentre speso in cultura dà un ritorno di 2,5€ medi (fonte Rai). Non furono ascoltate tutte le dichiarazioni di Tremonti che voleva dire “Con la cultura non si mangia”… Ci si sazia, si beve e avanza pure qualcosa per pagare lo spumante di qualità!
Ferdinando Paciolla
Onestamente mi sarei aspettato di meglio. Le varie cause (presunte) vengono prese in considerazione con superficialità e i dati sui vari governi sono presi con le pinze con difficoltà nel verificare tale fonti (anche se mi fido dell’autore e le prendo per veritiere senza verificare).
Ad esempio sull’elevata spesa per gli interessi, qualche parolina sullo spread l’avrei gradita, o fare qualche paragone sui dati della Prima Repubblica con l’attuale.
Inoltre per rendere più analitica tale situazione sarebbe stato opportuno anche fare un paragone con gli altri stati europei.
Pure l’attacco sulla Finocchiaro, l’ho trovato fuori luogo.