Sembra impossibile che, all’indomani del raggiungimento di un accordo sulla non proliferazione nucleare, esista una parte di mondo che non sia soddisfatta per lo straordinario risultato ottenuto dal punto di vista diplomatico.

Ma andiamo con ordine. Il 2 aprile scorso, a Losanna, nella storicamente neutrale Svizzera, l’Iran da una parte e gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Gran Bretagna, la Francia e la Germania dall’altra hanno annunciato di aver trovato l’intesa sui parametri per la stesura di un documento congiunto sul nucleare iraniano.

L’accordo, i cui punti salienti sono ripartiti in 7 paragrafi, dovrà essere redatto entro il 30 giugno prossimo, e, a detta del presidente Barack Obama, renderà il mondo più sicuro, anche se è ancora presto per dire che fra gli Stati Uniti e l’Iran sia in atto una vera e propria distensione nei rapporti diplomatici.

E dire che l’intesa non è nata sotto i migliori auspici, dal momento che l’Iran, per questioni meramente politiche, avrebbe preferito ritardare la pubblicazione dei dettagli tecnici. Ma si tratta, come detto, di problematiche interne, relative ai possibili attacchi delle rispettive opposizioni, che tuttavia non tolgono valore ad un accordo che l’entourage del Presidente USA non esagera a definire di portata storica.

Entrando nel merito delle intese, che, va detto, devono ancora essere tradotte ufficialmente nero su bianco, il primo paragrafo sancisce l’obbligo iraniano di ridurre di due terzi il numero delle centrifughe installate, diminuendo l’arricchimento complessivo, che non potrà superare il 3,67 % per un periodo di 15 anni. Nello stesso punto si parla anche di riduzione dell’uranio arricchito presente nel paese asiatico, che passerà dalle 10 tonnellate attuali a 300 kg.

Seguono specifiche limitazioni per l’impianto di Fordo, che dovrà essere convertito e non più impiegato per l’arricchimento, che potrà tenersi solo nell’impianto di Natanz, come stabilito rispettivamente nel secondo e nel terzo paragrafo.

I paragrafi successivi riguardano un punto che è sempre stato fondamentale nell’attività di riduzione del nucleare, ovverosia la possibilità da parte dell’AIEA (International Atomic Energy Agency) di monitorare gli impianti sopracitati, con accesso alla catena dei rifornimenti del programma nucleare, delle miniere e dei depositi. Decisamente un passo in avanti di importanza apicale, dal momento che proprio l’Iran, in passato, si era strenuamente opposto alle richieste di ispezione e controllo da parte delle autorità internazionali.

Completa il novero delle prescrizioni programmatiche la previsione della costruzione di un nuovo reattore ad acqua pesante nella città di Arak, in base a specifiche tecniche concordate con i paesi del 5+1, controparti dell’accordo, e comunque non in grado di produrre materiali utili per la costruzione di ordigni.

Di fronte a cotanto impegno in vista di una massiccia riduzione del proprio programma nucleare, l’Iran otterrà in cambio una sospensione delle sanzioni da parte di USA e UE, a condizione, naturalmente, che il gigante asiatico si attenga scrupolosamente a quanto previsto nel testo dell’accordo, previa verifica dell’Aiea.

Ce n’è abbastanza per essere euforici. La sicurezza internazionale, se gli accordi saranno rispettati, farà un balzo in avanti senza precedenti. Eppure, come accennato in apertura, non tutti sono soddisfatti dell’accordo, anche e soprattutto chi al tavolo delle trattative non si è nemmeno seduto.

Prendiamo i paesi arabi del Golfo, che intravedono, nelle mosse diplomatiche iraniane, un cambiamento dei rapporti contro il nemico storico occidentale, percepito come una minaccia, sia dal punto di vista militare che da quello diplomatico, visto l’indissolubile legame fra gli Stati Uniti e Israele.

Già, Israele, almeno loro saranno contenti. Neanche per sogno.
Benjamin Netanyahu ha impostato la propria campagna elettorale alimentando il clima di diffidenza verso l’Iran, identificato come primaria minaccia sul fronte della sicurezza nazionale. E’ evidente che un simile accordo fra Rohani e l’occidente finisce con lo smentire in maniera clamorosa i timori del premier israeliano, che in futuro potrebbe dover essere costretto a fare ammenda delle sue previsioni fin troppo allarmistiche sul fronte internazionale.

In questo senso, di certo anche l’Iran non ha mai offerto un ramoscello d’ulivo alla controparte israeliana, se è vera l’indiscrezione che, nel bel mezzo delle trattative per la stesura degli accordi, il comandante delle forze di sicurezza Basij ha dichiarato senza mezzi termini che: “La distruzione di Israele non è negoziabile”.

Prendiamo anche la Francia, che ha assunto un ruolo relativamente marginale nelle trattative. I suoi rapporti economici con l’Arabia Saudita e gli Emirati sono molto importanti, ragion per cui Hollande non può permettersi di sbandierare troppa soddisfazione per il risultato raggiunto, salvo poi fare pressioni sugli iraniani per essere reinserita nell’elenco delle controparti industriali.

Completano questa poco edificante lista di scontenti, anche gli stessi Stati Uniti e Iran, le cui opposizioni dei partiti al potere cercheranno con ogni mezzo di screditare le intese raggiunte, anche per motivi di propaganda. Perché, se è vero che il contrasto all’Occidente è stato per decenni il fondamento della politica iraniana, un ipotetico avvicinamento fra questi due mondi andrebbe a minare una collaudata impalcatura politica, che dovrebbe cercarsi altrove i suoi nuovi nemici.

A nostro avviso, dopo tante parole e spesso pochi fatti, questa volta la diplomazia ha fatto in pieno il suo dovere. E se quelli appena manzionati dovranno essere gli inconvenienti di un accordo internazionale come quello appena raggiunto, il mondo non dovrebbe essere che felice di averli provocati. La pace e la sicurezza mondiale sono valori più forti di qualunque schermaglia politica ed interesse economico.

Carlo Rombolà

Quotidiano indipendente online di ispirazione ambientalista, femminista, non-violenta, antirazzista e antifascista.

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