Come Libero Pensiero ha già evidenziato in un precedente articolo, Virginia Raggi, candidata a sindaco di Roma per il Movimento Cinque Stelle, è un volto nuovo della politica italiana che sta facendo molto parlare di sé.
Non sono pochi gli analisti politici a definirla “democristiana” e “cerchiobottista” per la sua tendenza a prendere di rado posizioni radicali sui temi etici e politici maggiormente dibattuti a livello nazionale. C’è poi chi addirittura l’ha definita berlusconiana, rifacendosi al suo praticantato di sei mesi in uno studio legale in orbita Previti.
Ciò su cui tutti sono d’accordo è che la Raggi manifesta una certa discontinuità con il Movimento del quale è membro, che come ha fatto notare l’Economist si sta sempre più avvicinando ad essere un partito normale. Eppure la giovane avvocatessa romana gode della piena fiducia di Gianroberto Casaleggio e Alessandro Di Battista, segno che i 5 stelle non si stanno di certo facendo rappresentare da un’estranea.
La realtà è che il Movimento ha pensato, a torto o a ragione, di poter vincere a Roma anche senza dire nulla, congelando la situazione attuale, e la Raggi segue i dettami diligentemente, esponendosi il meno possibile e su posizioni moderate quando inevitabile.
Ma non basta di certo questo a catalogarla come “democristiana”, perché si rischia di non operare un distinguo di fondamentale importanza per valutare a dovere un candidato sindaco: quello tra livello nazionale e locale.
Certo, Roma è forse la più nazionale delle piazze italiane, ed infatti la Raggi percepisce comunque il dovere di esporsi su temi come utero in affitto o adozioni civili, ma sa anche che può farlo nella maniera più opaca possibile, dato che la responsabilità su tali questioni non grava di certo sulle spalle di un amministratore locale. La decantata “consapevolezza del potere” mostrata sembra in realtà consapevolezza del potere mediatico. Non espone dunque il fianco a titoli roboanti, e quando non ha la risposta pronta disillude il suo intervistatore con un “non so” accompagnato da un sorrisone.
Per valutarla veramente bisogna considerare prima di tutto le soluzioni proposte in materia locale, e qui la Raggi sembra sentirsi a casa rispondendo con prontezza e competenza.
I disagi dell’Atac? Più controllori e multe più basse. Lo stadio della Roma? Sì, ma non a Tor di Valle. Le olimpiadi del 2024? No. E poi la lotta aperta alla corruzione, l’attenzione per il rapporto cemento/verde, la riutilizzazione degli sprechi (1,2 miliardi di euro secondo le stime) per finanziare servizi e imprese. «Ora, lo dico da subito: con noi al governo della città, i debiti prodotti dai partiti li pagheranno i partiti», scrive sulla sua pagina Facebook, perché «se qualcuno pensa di poter continuare a fare cassa sul sociale e quindi sulle famiglie romane sappia che ci opporremo con ogni mezzo».
Il background ideologico della grillina è comunque un qualcosa che va valutato, anche perché la Raggi con ogni probabilità resterà sulla scena politica locale (e magari nazionale) a lungo, per quanto le ferree regole del Movimento dicano altro. Ma tale ideologia non dovrebbe essere ricercata nelle dichiarazioni attuali, di facciata e concordate con i membri del suo partito, bensì nella sua “storia di vita”, e nelle sue dichiarazioni precedenti alla candidatura.
Nonostante la maggior parte dei ritrattisti si sforzino di ricordare il suo passato disinteresse per la politica, come vuole il cliché del grillino “marziano”, la Raggi in realtà ha dichiarato più volte di essere entrata nel Movimento grazie sì alla spinta del marito già attivista, ma anche a episodi verificatisi nel comitato di quartiere di cui era parte attiva, episodi grazie ai quali ha potuto percepire l’inefficienza della politica tradizionale clientelista. Se all’attività nel quartiere aggiungiamo il suo impegno nei Gas (Gruppi d’Acquisto Solidale) e il volontariato per canili e associazioni ambientaliste, la definizione più sincera che si possa dare al momento della Raggi è quella di “attivista ambientalista”, tendenzialmente di sinistra e anti-capitalista.
Non democristiana. Non berlusconiana. Non una Tory o una democratica, come l’ha definita l’Economist, bensì un’ambientalista di sinistra.
Una che con la scena nazionale ci azzecca poco o niente, per il momento, e che ha una visione estremamente pragmatica delle attività da svolgere a livello locale. Pensa prima di tutto come un cittadino, da riportare «al centro delle scelte politiche», restando quindi fedele al cavallo di battaglia del suo partito.
Perché di sinistra? Perché è la stessa Raggi ad aver ammesso più volte di aver votato per tutta la sua vita coalizioni simil-Ulivo, e più tardi il Pd. Ha inoltre dichiarato di provenire da una famiglia tradizionalmente di sinistra.
Perché anti-capitalista? Qui la faccenda si fa meno definita, e la Raggi potrebbe essere anti-capitalista così come lo è lo studente che legge in piena tempesta ormonale Il Capitale e non vede l’ora di postare le foto delle sue occupazioni tramite iphone da 700 euro. Insomma, questa parte della definizione non la si prenda come stringente, la Raggi potrebbe esserlo come non esserlo. Ma il web è foriero di informazioni, e spulciando tra i suoi meandri alla ricerca di più dettagli per quanto riguarda l’ideologia alla base del pensiero raggiano, ci si può imbattere verso la pagina 50.000 delle indicizzazioni Google in alcune discussioni del forum www.roma5stelle.com, utilizzato dalla Raggi solo nei primi anni del suo attivismo a 5 stelle. Gli interventi della candidata sindaco sulla piattaforma sono pochi, e il più delle volte servono solo a concordare con i membri del comitato per il XIX municipio gli orari in cui riunirsi.
Seppur di rado, vi si possono trovare rimandi alle sue convinzioni ideologiche: sono questi gli interventi che forse forniscono elementi validi per farsi un’idea più chiara sul suo orientamento politico, dato che qui a scrivere era direttamente lei senza interposta persona e senza aver prima consultato alcun membro del partito che non fosse probabilmente il marito.
Quattro anni fa, commentando una puntata di Servizio Pubblico, la Raggi sul forum non può fare a meno di notare come Santoro, anche quella sera, «abbia perso l’occasione per fare un vero servizio pubblico». A suo avviso, infatti, troppi argomenti «che avrebbero meritato un dibattito approfondito» sono stati invece «appena sfiorati»: tra questi il tema della «decrescita felice, fondata sul principio che l’attuale sistema capitalistico che sfrutta all’infinito le risorse del pianeta stia mostrando chiaramente il suo limite, non essendo sostenibile all’interno di un pianeta finito e dotato di risorse scarse».
La Raggi invita poi a leggere il manifesto all’indirizzo decrescitafelice.it, oltre a testi di Latouche e Raj Patel, e elenca tutte le «ulteriori considerazioni» che si sarebbero potute trarre se ci si fosse interrogati più in profondità sugli argomenti accennati in trasmissione, considerazioni che sanno di programma politico: «fondare la lotta all’evasione sulla possibilità di scaricare ogni tipo di spesa e, per i cittadini al di sotto della c.s. no tax area, la possibilità di ottenere dei crediti; incentivare le produzioni locali (c.d. a km zero) stagionali e la creazione di filiere corte (produttore-consumatore); creare nuovi posti di lavoro specialmente in settori verdi», e poi, dulcis in fundo, «sostituzione dell’attuale modello economico fondato sul PIL con un modello fondato sulla felicità individuale e collettiva», una considerazione al termine della quale la stessa candidato sindaco prende coscienza del briciolo di utopismo che guida il suo sfogo, e scrive fra parentesi «mi sembro un po’ Peter (Pan, ndr)».
E se Virginia Raggi fosse semplicemente una di sinistra?
Valerio Santori
(twitter: @santo_santori)