Nel ’17, cento anni dopo, vince ancora Lenin. Questa volta, però, in Ecuador, dove il 2 aprile si è tenuto il secondo turno delle elezioni presidenziali. La sfida era tra il candidato del partito per il socialismo del XXI secolo Alianza PAIS, Lenín Moreno, e il candidato del partito liberal-conservatore CREO, Lasso. A vincere è stato, con un margine ridotto, il candidato socialista.

Moreno, il cui nome completo è Lenín Boltaire Moreno Garcés — il secondo nome è una storpiatura, frutto di un errore dell’anagrafe, del celebre filosofo francese —, è stato fino al 2013 il vicepresidente di Correa e si pone come prosecutore della sua “revolución ciudadana”, basata su investimenti nel welfare, aumento della spesa per assicurare sanità e istruzione gratuita, rafforzamento delle infrastrutture e controllo statale dei giacimenti di petrolio. “Nomen omen”, avrebbero detto i latini: se l’ispirazione socialista — seppur di stampo diverso rispetto a quello sovietico — lo avvicina al Lenin russo, la maggior tolleranza e apertura nei confronti degli avversari rispetto a Correa, fa di lui, in un certo senso, un voltairiano. Moreno, infatti, si è dichiarato promotore di una politica “della mano tesa”, in rottura con l’indole conflittuale del suo predecessore Correa. Inoltre, il nuovo presidente dell’Ecuador è dotato di ironia e umorismo, grazie ai quali affronta la sua disabilità — nel 1998, durante una rapina a mano armata, è stato colpito da un proiettile che lo ha costretto sulla sedia a rotelle — e si rapporta con il mondo: ha scritto diversi libri sull’umorismo e sulla sua visione della vita, come “Teoria e pratica dell’umorismo”, “Essere felici è facile, divertente e produttivo”, “Le migliori battute del mondo”, “L’umorismo dei famosi” e “Ridete, non siate malati”.

Al primo turno delle elezioni, svoltosi lo scorso 19 febbraio, Moreno ha ottenuto il 39,36% dei consensi, fallendo di poco l’obiettivo di vincere senza andare al ballottaggio – la legge elettorale vigente in Ecuador prevede la vittoria al primo turno nel caso di superamento del 50% o raggiungendo il 40% e superando di 10 punti percentuali il secondo classificato. Risultato molto lontano da quello ottenuto nel 2013 da Rafael Correa (57,17% dei consensi al primo turno).

L’avversario di Lenín Moreno al secondo turno delle elezioni ecuadoriane era Guillermo Lasso, che aveva ottenuto il 28,09% al primo turno. Guida il partito di centrodestra CREO (Creando Oportunidades) con un programma esattamente opposto a quello di Alianza PAIS: eliminazione delle 14 differenti imposte introdotte da Correa, favorire gli investimenti dei privati e una revisione dei rapporti che l’Ecuador ha sviluppato con il Venezuela e la Cina.

Lasso aveva promesso che, in caso di vittoria, avrebbe espulso Julian Assange dall’ambasciata ecuadoregna di Londra. L’attivista fondatore di Wikileaks vive lì dal 2012 e può tornare a dormire sonni tranquilli. Il ballottaggio si è, infatti, concluso con la vittoria di Moreno sul filo del rasoio con il 51,15% dei consensi. Lasso ha spinto i suoi sostenitori ad intraprendere una manifestazione per protestare in modo «pacifico ma deciso», in quanto accusa il governo di brogli e chiede il riconteggio dei voti. Il governo accusa Lasso di voler generare un clima di tensione nel Paese. Il leader dell’opposizione ha, inoltre, postato sul suo profilo Twitter due foto che secondo lui dimostrerebbero l’inversione dei risultati a favore di Moreno in un seggio, lasciando intendere che potrebbe trattarsi di una prassi diffusa nelle elezioni.

moreno ecuador
Le immagini postate su Twitter da Lasso

Il risultato delle elezioni in Ecuador segna una resistenza al tracollo delle sinistre latino-americane: nel 2015, in Argentina il kirchnerismo è stato sconfitto dal centrodestra di Macri e in Venezuela, nelle parlamentari, il blocco centrista “Unità Nazionale” ha battuto 56,22 a 40,91 il Partito Socialista Unito del Venezuela di Maduro, il quale ha perso la maggioranza parlamentare e rischia di perdere, nel caso di risultati simili, anche la presidenza nelle elezioni presidenziali previste per il 2018; nel 2016, invece, in Brasile, le opposizioni sono riuscite a far cadere il governo di sinistra tramite un impeachment, il quale, per l’allora presidente Dilma Rousseff, è stato, in realtà, “un golpe ordito per non aver accettato il neoliberismo”.

La vittoria di Lenín Moreno, il quale ha ricevuto le felicitazioni del leader cubano Raúl Castro, rappresenta un proseguimento dell’esperienza della Rivoluzione Cittadina iniziata da Correa, pur mostrando un indebolimento, segno della crisi che il socialismo del XXI secolo sta vivendo in tutta l’America Latina e per la quale i vari leader dovranno adoperarsi, se vorranno evitare la fine dell’esperienza di indipendenza e sovranità dei loro Paesi.

Pietro Marino

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