Negli Stati Uniti d’America esplode il caso “Virusgate”: senatori americani e top manager, in possesso di informazioni riservate, hanno venduto i propri titoli azionari sui mercati prima che l’epidemia Covid-19 si facesse pandemia, evitando emorragie finanziarie. Lo scandalo, che ha suscitato aspre contestazioni ma un’attenzione comunque limitata di pubblico e media, colpisce per la spregiudicatezza ma non per il dispregio delle convenzioni o della moralità corrente, purtroppo abbastanza flessibile al riguardo.
Infatti la reazione è di sincero sdegno, ma soprattutto di consapevole rassegnazione. L’immanenza delle sperequazioni socio-economiche dell’iper-liberismo (si rende necessario aggiungere questo prefisso roboante ma efficace), non può del resto essere messa in discussione. Ma è dunque ammissibile speculare (n.b. finanziariamente), traendo guadagni piuttosto che perdite anche dalle più atroci tragedie umane, mentre la sanità boccheggia, oppure il Virusgate impone l’urgenza di riflettere circa alcuni assiomi paradigmatici del sistema valoriale dell’Occidente?
Facoltosi, informati, spregiudicati: i protagonisti di Virusgate
La vicenda Virusgate non è sorprendente, ma sa di parossismo: non conserva l’epica dei grandi scandali giornalistici americani, ma piuttosto racconta di una situazione straordinaria che si è fatta ordinaria. Protagonista indiscussa dei fatti è l’élite politico-finanziaria statunitense.
Il “paziente zero” di Virusgate è il senatore repubblicano Richard Burr, presidente della Commissione Intelligence, che in virtù della sua posizione ha potuto visionare in anticipo i rapporti segreti che anticipavano la pericolosità e le implicazioni geo-economiche del Covid-19: prevedendo il rischio per le sue finanze, lo scorso 13 febbraio ha venduto meticolosamente, attraverso diverse operazioni, tutto il suo patrimonio in azioni (di valore superiore al milione di dollari).
Fonte: trussvilletribune.com
Una faccenda che parrebbe trovarsi semplicemente nell’intercapedine tra conflitto d’interessi ed egoismo personale, se non avesse implicazioni più vaste. Innanzitutto, il senatore non è solo: la “soffiata speculativa” ha riguardato altri tre colleghi parlamentari, ma anche personaggi come Jeff Bezos, CEO di Amazon, che ha ceduto sempre durante la prima metà di febbraio azioni per ben 3,4 miliardi. Come lui, altri importanti manager e grandi investitori hanno salvato i propri patrimoni da perdite di milioni di dollari in un arco temporale che va da febbraio alla metà di marzo, quando i mercati sono crollati a causa dell’incertezza economico-sanitaria.
Per ora non ci sono reati: si tratta di strategie di diversificazione del rischio, promosse, secondo i protagonisti della vicenda, sulla base di valutazioni personali e informazioni note al pubblico. Se resta comunque da chiarire il ruolo della Commissione Intelligence in quella che sembra essere in realtà una vera e propria fuga di notizie riservate, ciò non esclude comunque le responsabilità personali e politiche. Il senatore Burr, ad esempio, mentre proteggeva i suoi investimenti e avvertiva a porte chiuse i finanziatori della sua campagna elettorale, diffondeva dichiarazioni pubbliche concilianti, che sminuivano la pericolosità del virus.
No, il Covid-19 non è democratico
A proposito di contraddizioni tra operato pubblico della politica americana e comportamento privato di chi la incarna in ambito epidemiologico: è stato ribadito da più parti (Ascanio Celestini compreso) che i virus sono democratici, ossia colpiscono tutti allo stesso modo senza tener conto delle differenze sociali. Nulla di più fuorviante. Virusgate dimostra che se la pandemia Covid-19 è effettivamente “livella”, le possibilità che i suoi potenziali ospiti hanno di difendersi sono ben diverse.
Nonostante i sopracitati dossier dell’Intelligence, Donald J. Trump ha continuato fino alla fine del mese di marzo a sostenere che il Coronavirus fosse poco più di un banale malanno stagionale, per la verità in buona compagnia di altri leader mondiali. Non ha dunque predisposto dispositivi adeguati al conteggio e al contenimento dell’epidemia, che nel frattempo ha superato i 200.000 contagi (probabilmente sottostimati). La sua preoccupazione principale, più che la salute pubblica, è stata fino alla fine la crescita economica.
L’atteggiamento della Casa Bianca, oppure di Burr e dei grandi investitori coinvolti in Virusgate che hanno innanzitutto tutelato i propri risparmi, è tanto più riprovevole se si pensa che verosimilmente il dilagare del Covid-19 comprometterà la salute delle fasce sociali più fragili, piuttosto che i crediti dei loro patrimoni.
Fonte: miamiherald.com
Il Sistema Sanitario Nazionale americano dipende quasi esclusivamente dal finanziamento privato: lo stato federale contribuisce alla prestazioni essenziali solo dei più indigenti (attraverso il Medicaid), degli anziani ultrasessantacinquenni e dei disabili (attraverso il Medicare), che sono in realtà strumenti di facilitazione per la stipulazione di assicurazioni sanitarie private, vera architrave della sanità USA.
La copertura della assicurazioni è assai variabile, e dipende soprattutto dalla negoziazione dei contratti stipulati con i datori di lavoro, spesso al ribasso. Pochissime polizze sostengono la totalità delle spese mediche, 44 milioni di persone hanno una copertura insufficiente, e sono circa 30 milioni, invece, coloro che ne sono totalmente sprovvisti.
Tutte le prestazioni mediche che esulano dall’assicurazione stipulata e sono “impreviste” vengono di solito corrisposte attraverso transazioni in denaro dirette: l’eccezione dei casi di emergenza (evviva il giuramento di Ippocrate!) matura comunque un debito da ripagare in seguito, spesso abbastanza gravoso per le famiglie ad elevato rischio sociale, ma non solo. Si tratta, per arrivare al punto, anche dei pazienti contagiati dal Coronavirus: tra farmaci e ricovero, chi si ammala di Covid-19 spende (secondo CNBC) circa 75.000 dollari. Anche solo sottoporsi a un tampone ha costi esorbitanti: dai 1.000 ai 4.000 dollari. Non solo il contenimento del virus è evidentemente a rischio, ma anche la salute e le finanze degli americani. A meno che questi non siano facoltosi, influenti o adeguatamente informati attraverso canali privilegiati.
“Greed is good”? Greed is God
La speculazione finanziaria è fattispecie non certo inedita del neoliberismo americano, quanto piuttosto prassi connaturata: ne riassume agevolmente i connotati. Eppure Virusgate segna comunque un terribile primato: per la prima volta la speculazione si avvale di informazioni sanitarie per accrescere o tutelare i propri guadagni. Contemporaneamente il sistema sanitario americano mostra il peggio della sua criminosa iniquità, il tutto in una situazione di delicatissima emergenza.
In America, del resto, “Greed is good“. La citazione è di Wall Street, un film hollywoodiano del 1987, non a caso al culmine del decennio reaganiano. Possiamo parafrasare, e spingerci oltre: “Greed is God“. Eccessivo? Nient’affatto. Tale espressione condensa efficacemente la verticalizzazione valoriale della piramide sociale americana, laddove il senso del sacro si è fatto materiale ed è trasmigrato, con tutte le sue implicazioni liturgiche e pragmatiche, dall’altare al libretto azionario o al portafogli. La devozione si esprime attraverso i dollari, traduzione algoritmica e razionale dell’american dream e dell’uguaglianza delle opportunità.
Conseguentemente l’avidità viene celebrata, issata a pilastro della convivenza civile: è afflato vitalistico che cattura l’essenza dello spirito evolutivo dell’umanità e mette in moto il progresso. Se il denaro esprime il valore positivo della persona per antonomasia, il profitto ed ogni azione per accumularlo o salvaguardarlo, in ossequio soltanto a prescrizioni normative sempre più labili, diventa lecito, anzi auspicabile, in nome del funzionalismo economicista ma anche dell’etica e della morale.
Dunque, in questo contesto marcatamente ideologico e “post-umano”, anche Virusgate può derubricarsi a sola questione di etichetta, la cui disquisizione spetta a qualche strampalato asceta distante dalla concretezza del mondo, mentre i pazienti americani che non possono permettersi la profilassi o le cure mediche adeguate per il Covid-19, un inciampo inevitabile e tutto sommato tollerabile nel normale dispiegarsi della vita sociale.
Questo sistema politico, etico ed economico, tra darwinismo sociale e deregolazione assoluta del mercato, si è fatto e si sta facendo silenziosamente strada anche fuori dagli USA. Non possiamo davvero esimerci dal contrapporre un modello di società diametralmente opposto a quello appena presentato, nel quale i valori universalistici come il diritto alla salute sono ancora tutelati e celebrati (Bernie Sanders, nell’antro della bestia, ci sta provando). O quantomeno non dovremmo ingannarci: il neoliberismo avido del capitalismo americano non è e non può essere il migliore dei mondi possibili.
Luigi Iannone