Nel cuore di una Napoli colma di ironico disinganno, che desta amare risate, Ciro (Giampaolo Morelli) è un killer senza pietà che si affianca a Rosario (Raiz), insieme al servizio del boss Don Vincenzo (Carlo Buccirosso), soprannominato “o re d’o pesce”. In una delle sue scorribande, il camorrista si imbatte in Fatima (Serena Rossi), grande amore vissuto ai tempi dell’adolescenza. Ciro deve scegliere se tenere fede al suo dovere o lasciarsi trasportare dalla sua vecchia fiamma.

Questa la trama della pellicola “Ammore e malavita”, presentata alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia, con la regia di Antonio e Marco Manetti, sodalizio meglio noto come Manetti bros.

I due registi raccontano con leggerezza e con la giusta dose di sfrontato sarcasmo l’attuale realtà in cui versa il capoluogo napoletano, esule dalla drammaturgia tetra e lugubre riprodotta in “Gomorra”; al contrario, Napoli viene dipinta nella sua babilonia di ilari difetti, con la sua esuberanza sgangherata e romantica allo stesso tempo, con la sua spensieratezza temeraria, seppur inquieta. È lontano il classico cliché della città partenopea afflitta dal flagello della criminalità, che si dimena in un tumultuoso oceano di problemi senza mai venirne a galla. La stessa Scampia diventa oggetto di sagace umorismo, “the ultimate touristic experience” che i visitatori possono fare con il brivido dello scippo annesso.

Come da tradizione, nel film i Manetti bros. hanno congegnato un’eccellente commistura di generi cult: come in un puzzle dai pezzi sconnessi e colorati, si passa dalla sceneggiata napoletana al crime movie, dal commedia romantica al musical (è stato, infatti, definito il La La Land napoletano). Non a caso nella colonna sonora figurano canzoni come “O’Secondo”, “Guaglione e Malavita” e “Bang Bang”, interpretate da Franco Ricciardi nella parte di Gennaro ‘o Secondo. L’artista e compositore napoletano aveva già precedentemente collaborato con i Manetti bros. alla realizzazione del film “Song e Napule”, grazie a cui ha ottenuto il David di Donatello nel 2014.

“Lavorare con i Manetti è fantastico loro mi hanno svezzato, insistendo perché lavorassi anche nel cinema. Quella cinematografica una strada che non pensavo di intraprendere. Io resto un musicista ma fare l’attore mi piace molto ed è una strada che vorrei continuare. Vorrei valutare nuovi progetti mentre continuerò, ovviamente, a fare musica, non mi sono posto aspettative. In questo film Napoli ne esce per com’è: colorata e ironica ma è anche la Napoli delle questioni serie. I Manetti con il loro stile vanno ad alleggerire il tutto.”

dichiara Ricciardi che è anche alla sua prima esperienza come coprotagonista di un film:

“Se mi rivedo in Gennaro? No, non mi ci rivedo pienamente, ma sono entrato talmente nella parte. Al punto che spesso mi sento Gennaro anche io. Per indole non amo moltissimo i riflettori anche se può sembrare una contraddizione e non amo essere il primo a tutti i costi, mi sento anche io un secondo.”

La cinefilia trova terreno fertile nelle inquadrature di questo film. Esso trabocca di richiami al vecchio cinema: si intersecano scene alla James Bond, sequenze che ricalcano la bonaria ironia di Totò, canzoni parodiate degli anni ’80 (emblematica “What a feeling” di Flashdance cantata in dialetto napoletano).

Ma l’unica, vera protagonista della pellicola dei registi romani è senza dubbio Napoli con le sue mille contraddizioni, con il suo star sempre nel mezzo, nella sfumatura, lontana dalle tinte estreme, con il suo essere brulicante di poesia, di libertà, eterna terra ribelle senza avversari, indomita nel suo splendore.

‹‹Solo la mia città ha ancora un minimo senso con quell’apertura alata a mare, sterminata. Ti dà la sensazione che se vuoi puoi fuggire. Poi non fuggi mai.››

come scriveva Paolo Sorrentino in “Hanno tutti ragione”.

Clara Letizia Riccio

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