Immagini e video certificati tramite blockchain iniziano ad apparire sempre più spesso in vendita a cifre esorbitanti. È in atto un processo di smaterializzazione dell’arte come risposta ai distanziamenti fisici imposti dalla pandemia, ma anche come nuova frontiera dell’originalità – intesa in senso creativo, ma anche di certificazione di autenticità – e del marketing. Un fenomeno recente in grande espansione, quello dell’arte digitale – creata su computer e riproducibile tramite supporti digitali, tutelata e valorizzata mediante la certificazione e il controllo sulla distribuzione attraverso la blockchain: la tecnologia con la quale assumono un valore di unicità. Tra gli autori che usano la tecnologia blockchain troviamo Mike Winkelmann – ormai più noto come Beeple – creatore della terza opera d’arte digitale più costosa di sempre:’’Everydays, The First 5000 Days’’, un collage di 21.069 x 21.069 pixel delle sue prime cinquemila opere giornaliere, venduto all’asta per 69,3 milioni di dollari come NFT.
Gli NFT – acronimo delle parole inglesi “Non-Fungible Token” – sono dei certificati di autenticità digitale e sono usati da poco più di tre anni. Il sostantivo Token segnala la presenza di una serie di informazioni digitali che caratterizzano ogni determinato file che acquista una sua individualità e, nel caso di opere d’arte digitali, equivale a dire che sono firmate dal loro autore. La premessa di unicità delle opere d’arte digitali, risponde all’interrogativo comune sul perché comprare un’immagine scaricabile da tutti essendo questa presente in digitale. Il collettivo Hackatao risponde: «L’opera rimane comunque riproducibile all’infinito, sempre visibile a tutti, ma solo un collezionista possiede quello che l’artista definirà l’originale, il token unico dell’opera.
Questa nuova frontiera raggiunta dall’arte digitale nell’era pandemica, muove un interrogativo sul futuro dei musei (riaperti solo recentemente a causa dalla crisi pandemica). Nonostante la digitalizzazione comporti sia opportunità sia minacce in termini di gestione delle opere, la tecnologia blockchain può rivelarsi una “benefica” alleata: i cataloghi e le pubblicazioni d’arte circolerebbero all’interno di un sistema totalmente protetto e decentralizzato ed il museo e le gallerie d’arte sarebbero remunerate al di fuori di ogni intermediazione. La blockchain può aumentare il potenziale di collaborazione all’interno del settore dell’arte, nel senso che un registro aggiornato ed accessibile, renderebbe più semplice trovare e condividere opere d’arte di proprietà di collezionisti che potrebbero indicare sulla blockchain se sono aperti a prestare un’opera ad un museo o ad una galleria. In questo modo i curatori potrebbero facilmente fare riferimento a queste informazioni durante la pianificazione di una mostra. Si potrebbe considerare – anche per far fronte alle misure di distanziamento scaturite dalla crisi pandemica – di predisporre dei tour virtuali, gratuiti o a pagamento, di una data galleria o museo, investendo in innovative tecnologie di riproduzione degli ambienti e delle opere d’arte ivi esposte.
Le forme d’arte digitale sviluppatesi con il supporto di tecnologie computerizzate hanno iniziato il loro cammino evolutivo circa trent’anni fa affascinando per i contenuti innovativi di cui è portatrice e riempiendoci di domande sull’intrinseco valore delle opere prodotte e sulla attribuzione per esse di uno specifico valore di mercato. La portata rivoluzionaria di questi fenomeni artistici, che vanno tutti sotto la comune etichetta di arti elettroniche, è enorme come lo sconvolgimento che il computer ed internet hanno già portato all’interno della nostra società. È opportuno trovare altri criteri di valutazione per queste forme d’arte digitale che si stanno evolvendo grazie alla maggiore accessibilità in termini economici dei mezzi che ne consentono la produzione e la diffusione (e la certificazione tramite blockchain). Sempre più numerosi sono infatti gli artisti di strada telematica, che propongono la loro arte in digitale, attraverso i più svariati canali. Bisognerebbe prendere in considerazione come valore, la loro espandibilità nella rete e le tante varianti che le opere stesse contengono in sé in termini di potenziale di trasformazione. Se infatti il valore dell’opera priva di fisicità, sta tutto nella forza attrattiva dell’immagine, nel potenziale esprimibile e nel messaggio, esplicito o subliminale che sia, il fatto di essere riproducibile e di raggiungere un numero elevatissimo di soggetti attraverso la sua trasmissibilità, ne amplifica il valore, invece che ridurlo. Inoltre ci costringe ad interrogarci sull’influenza che questo tipo di forma artistica può esercitare sulle opere d’arte tradizionalmente intese, un concetto molto più comprensibile ai millennials che non alla generazione dei boomerslegata al “materico”, al peso, alla palpabilità di un’opera.
Miriam Tufano