Riardo (CE) – A distanza di anni, l’ospizio del Comune di Riardo presenta cicatrici figlie di promesse non mantenute, del malaffare, della malapolitica e al contempo l’orgoglio di un’area destinata a progetti rivoluzionari, ma ridotta a rudere.

Spesso le rovine del passato diventano manifesto programmatico dell’indignazione collettiva nel presente; accade che l’indignazione conduce all’informazione veritiera e la verità alla giustizia. La storia di quello che sarebbe dovuto diventare l’ospizio del Comune di Riardo è la storia di una struttura che di diritto spettava alla comunità, al miglioramento del Paese e al benessere dei cittadini. È una storia senza lieto fine, che termina con tristezza, disprezzo e, se vogliamo, con la sfiducia nel “palazzo’’.

L’intenzione, invece, è quella di trasmettere altri sentimenti: ribellione, voglia di lottare, speranza nel cambiamento, volontà di continuare a scrivere e apportare nel finale della storia un lieto fine. Alla luce di ciò, è opportuno far rumore, denunciare, “smuovere coscienze assopite’’, affinché la speculazione non rimanga causa giustificativa della crisi, affinché chi ha conseguito un vantaggio indebito, a discapito di altri, ne risponda.

Facendo un salto indietro nel tempo, nemmeno troppo lungo, iniziamo col dire che per la costruzione della struttura (tutt’oggi visibile nei pressi di Riardo) furono stanziati ben 500 milioni di lire dalla Regione, gestiti dal Comune. Il finanziamento era chiaramente destinato all’edificazione di un ospizio. Naturalmente la zona venne perlustrata da ingegneri, igienisti, psicologi e tutti i tecnici necessari per autorizzare il progetto. Tutti si rivelarono concordi nel giudicare quella zona idonea. La struttura si stima che potesse ospitare oltre 50 persone, tra anziani e bisognosi di assistenza. Decisamente una svolta in un territorio che non offre alternative: in un territorio in cui una delle case di riposo più vicina (quella di Caserta) è un immobile che presenta gravi carenze igienico-sanitarie e in cui, nel 2013, i carabinieri del Nas di Napoli hanno eseguito 5 arresti per sequestro di persona, maltrattamento e abbandono di persone incapaci.

Dapprima, una cooperativa di San Leucio si mostrò disponibile a prendere in gestione l’ospizio, purché il Comune, per 8 anni, sospendesse il pagamento dell’affitto. Di contro, avrebbero assunto i dipendenti scegliendoli tra la popolazione locale. Allora era in carica l’amministrazione capeggiata da A.F.: secondo le testimonianze la proposta fu respinta perché il Comune pretese che la cooperativa pagasse l’affitto fin da subito.                                                         

L’ospizio, intanto, era stato ultimato e altre somme ingenti furono stanziate per la recinzione, per gli arredi interni, i riscaldamenti. Le camere attendevano solo gli ospiti, corrente allacciata, refettorio e sala d’accettazione pronte, compreso un ampio giardino. Nonostante la struttura fosse pronta, nessuno eseguì il proprio dovere di farla entrare in funzione. Di fronte alla latitanza del potere amministrativo, la struttura fu oggetto di furti da parte dei raccattatori di turno.

Si presentò allora un’altra cooperativa, stavolta di Pozzilli, proponendo un progetto di adattamento della struttura a centro sperimentale di medicina. Seguirono le apposite valutazioni. Presiedeva l’amministrazione di A.I., che decise di bloccare l’ennesimo progetto.

Gradualmente la struttura fu depredata, spogliata di cose di valore; i finanziamenti della Regione furono rubati in silenzio e compostezza. Si denunciò la questione al Comune ma la risposta fu “Non dovete preoccuparvi”.

Nei successivi giorni, la struttura fu definitivamente svuotata di termosifoni di ghisa, caldaie, porte, lavandini, arredi per i bagni, infissi, impianti, centraline elettriche e quant’altro. I camion venivano, caricavano e se ne andavano. Punto. Nessuno vedeva, nessuno parlava, tutto normale.

Parallelamente al disfacimento funzionale dello stabile, cresceva “nel giardino” un ulteriore problema. In concomitanza con la ristrutturazione della piazza e, successivamente, del castello di Riardo, in quel giardino cominciarono ad arrivare scarti edili: pietre, mattonelle, cemento, ecc.

Alcuni cittadini fecero presente la situazione ad alcuni politici locali e gli venne garantito che di lì a poco i rifiuti sarebbero stati spostati; il problema fu liquidato con un banale “Vediamo…”. I residui di quei rifiuti sono tutt’oggi visibili nell’area. Sappiamo bene che lo smaltimento scorretto di rifiuti è reato, sanzionato penalmente dalla legge.

Il cemento, secondo una sentenza della Corte di Cassazione del 2013, è considerato rifiuto speciale e come tale va smaltito; le pietre possono essere considerate “sottoprodotto”, purché siano sottoposte ai rispettivi trattamenti preventivi. In un secondo momento vennero sversati pneumatici, frigoriferi, vecchie televisioni, reti marine.

A quel tempo il pozzo comunale era funzionante ed era ubicato a pochi metri dalla discarica abusiva. Come se non bastasse, adiacenti alla discarica, si estendono campi coltivati e non è difficile immaginare quanto abbiano assorbito quelle sostanze tossiche e quegli olii che penetravano nel terreno; inoltre sappiamo che i rifiuti mischiati, a contatto tra di loro, moltiplicano esponenzialmente il livello di tossicità e di pericolosità.

Passarono anni e la struttura divenne sempre più fatiscente. Lo sversamento clandestino di rifiuti si interruppe con l’amministrazione di N.D., il quale cercò di assegnarla prima ad un’agenzia di pompe funebri di Teano, poi ad un centro scientifico di Caserta. Ma ormai nessuno ci avrebbe investito dei soldi. Il risultato? Tra qualche anno bisognerà demolirla. Attualmente è in completo stato d’abbandono, ridotta ad un cumulo di muffa e bersaglio dei cecchini, che si divertono a centrare i pochi vetri rimasti.

Melissa Bonafiglia

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