La cultura hippie e le ideologie pacifiste dei giovani degli anni ’60 e ’70 sono state storicamente associate all’uso eccessivo e disorientante della cannabis.
Da allora, la diffusione delle notizie sulla pericolosità delle droghe ha trovato sfogo in una propaganda animata sulla nocività della sostanza in questione, e, al contempo, ha visto nascere battaglie antiproibizioniste mosse dalle risposte che la ricerca scientifica ha fornito sulle proprietà terapeutiche della pianta.
Il primo fra tutti a studiarne i risvolti curativi fu Lestern Grinspoon, psichiatra statunitense, che nel 1971 pubblicò il libro “Marihuana Reconsidered” in cui sosteneva non solo che le credenze circa la pericolosità della marijuana avessero scarso fondamento empirico, ma che essa fosse largamente utilizzabile nel trattamento di una vasta gamma di patologie.
La Canapa indiana (Cannabis sativa varietà indica) è una pianta originaria dell’Asia centrale, la cui droga è rappresentata dalle infiorescenze disseccate femminili, che prendono il nome di “marijuana”.
Ghiandole diffuse su tutta la superficie della pianta secernono un materiale resinoso noto come hashish, molto più potente della marijuana, dal momento in cui presenta un contenuto 5-10 volte maggiore del principale e più noto principio attivo: il THC (Δ9-tetraidrocannabinolo), della famiglia dei cannabinoidi.
Questi interagiscono con specifici recettori di membrana nel nostro organismo, che sono il CB1, presente principalmente nel Sistema Nervoso Centrale, e il CB2, nelle cellule del sistema immunitario, dove i cannabinoidi mediano un effetto antinfiammatorio.
L’azione del THC sul Sistema Nervoso si manifesta nell’inibizione della formazione dei ricordi, nell’alterazione delle funzioni motorie, nella stimolazione dell’appetito. Inoltre esso agisce sulla percezione del dolore, con effetto analgesico, ed esplica una funzione antispastica (miorilassante) e anticonvulsionante.
Queste caratteristiche rendono la cannabis impiegabile nel trattamento di patologie quali sclerosi multipla, dolore oncologico, vomito e inappetenza da chemioterapici.
Emergono alcune perplessità su un potenziale uso di queste molecole in pazienti con un sistema immunitario compromesso, come ad esempio nei soggetti affetti da AIDS, ai quali i cannabinoidi sarebbero proposti per il trattamento dell’astenia, essendo queste molecole attive anche come immunosoppressori.
Fra i principali effetti collaterali e tossici dell’uso della Cannabis ci sono i disturbi respiratori legati all’assunzione della droga per via inalatoria, oltre che il rischio dell’insorgenza di tumori causato dai prodotti della combustione.
Nel 2013 è stata resa legale in Italia la vendita di cannabis in farmacia a scopo terapeutico, e tutta la cannabis legale circolante sul suolo italiano proviene unicamente dall’Olanda.
Eppure in due anni sembra ancora non essere mutato nulla: i medici sono restii a prescrivere un farmaco così anticonvenzionale e le farmacie non comprano cannabis perché questa non si rivende.
Di certo i motivi di questo rifiuto terapeutico vanno ricercati in una diffusa disinformazione che maschera le sostanziali e ingenti differenze fra la cannabis ad uso “ludico” e la cannabis medicinale, la quale, a differenza della prima, contiene un contenuto standardizzato di principi attivi e risponde ai criteri di qualità, efficacia e sicurezza, oltre ad essere naturalmente somministrata in dosi specifiche e controllate.
Un’altra questione rilevante è quella che riguarda i costi: se la cannabis legale viene venduta ad un minimo di 40 euro al grammo, notevolmente minore è il costo della cannabis illegale.
Quindi, se da un lato il bilancio fra rischi e benefici pende a favore dei benefici, la diffusione delle coltivazioni e delle vendite non autorizzate, nonché un approccio generalmente diffidente alla questione, rende di difficile accesso questa terapia.
Il progresso che si scontra con la popolazione scettica e guardinga?
La società che rifugia nell’illegalità per sfuggire a pressioni esercitate da autorità che non favoriscono le terapie innovative? Ancora una volta, la risposta sembra essere sì.
Elisabetta Rosa