Napoli – E’ ormai passato un anno da quel giorno in cui tre scooter irruppero in Piazza Sanità e spararono su una folla di ragazzi una ventina di colpi di pistola. E’ passato ormai un anno da quel 6 Settembre, giorno in cui qualcuno decise di togliere la vita a un ragazzo neppure maggiorenne, Genny Cesarano.
E dal 6 Settembre qualcosa è cambiato. Proprio lì, nel quartiere Sanità di Napoli, così ricco dal punto di vista storico e culturale, ma così martoriato dalla presenza della camorra. Sparato, avvilito, assediato da boss e baby gang e i propri affari. Il 6 settembre è stato il giorno della scintilla del cambiamento: Gli abitanti della Sanità, stanchi di essere alla mercé di qualche uomo senza coscienza, ma munito di pistola e proiettili, stanchi di fronte all’ennesima vittima innocente, hanno risvegliato le proprie coscienze e sono diventati Un Popolo In Cammino contro la camorra.
Quel drammatico avvenimento è diventato lo spartiacque del quartiere: camorristi e non camorristi. Da allora è iniziato il cammino per cacciare la parte malata della Sanità e per salvaguardare coloro che ancora non appartengono a nessuna delle due “fazioni”: i giovani, per i quali è forte l’esigenza di cambiare la situazione per far sì che non ci siano altre vittime tra loro o che non diventino loro stessi i carnefici di qualche altro.
“Per la prima volta nella Sanità si può parlare di lotta alla camorra e cittadinanza attiva”, ci racconta Ivo Poggiani, di Un Popolo In Cammino e Presidente della 3° Municipalità, “Questo è stato un anno di fortissima mobilitazione, che culmina proprio oggi nel saluto a Genny e nella celebrazione del suo ricordo”.
La Sanità oggi, in parte, quella sana e onesta, è un quartiere completamente nuovo, si è risvegliato e con esso la sua coscienza civica: “Un esempio di ciò che è accaduto in questo anno sono proprio le strade del quartiere, la stessa piazza dove è stato ucciso Genny: prima erano deturpante e inquinate proprio dagli abitanti del quartiere, oggi quella piazza è stata adottata, è curata e difesa da tutti”.
In quella piazza, nell’aiuola accanto alla lapide, i cittadini del quartiere si sono incontrati per scoprire la statua di Genny, la prima dedicata ad una vittima innocente della camorra. “Il pallone incastrato tra le assi è un invito alle persone a recuperare l’innocenza di una vita negata e a giocare contro la criminalità per liberarsi”, spiega lo scultore Paolo La Motta.
Il quartiere riunito, una messa, la statua e alcuni striscioni per mantenere viva la memoria e salutare Genny che è diventato un altro simbolo di questa lotta.
Dal quel 6 settembre ad oggi, il quartiere c’è stato, il popolo ha iniziato davvero il suo cammino contro la criminalità e continua a percorrere quella strada: sono in programma nuovi progetti di riqualificazione territoriale e sociale. Ma da quel 6 settembre gli assenti ingiustificati sono, come di routine, le istituzioni. “Tutte le defiance che c’erano prima ci sono ancora oggi. Per dirne una possiamo citare la questione della telecamera voluta dalla prefettura: un anno fa, quando Genny è stato ucciso era spenta, oggi? Ancora spenta!” continua Poggiani, “La risposta delle istituzioni è stata insufficiente“.
Effettivamente se nel quartiere si continua a sparare, è il segno che la presenza di quelli che qualcuno ha definito “militari di arredo urbano” non serve per migliorare la vivibilità del quartiere. E non sono stati sufficienti gli investigatori che non sono riusciti a scoprire i nomi che in realtà tutti già conoscono. E non erano sufficienti i 15.000 euro stanziati per il progetto di apertura delle scuole tutti i pomeriggi.
“Il quartiere c’è, ma per far cambiare davvero la situazione c’è bisogno di meno lentezza istituzionale e che le istituzioni si uniscano ai cittadini in questa lotta”.
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Ilaria Cozzolino