La coesistenza di geotermia, eolico e solare eleggono le Hawaii come perfetto laboratorio per la transizione energetica che punta all’indipendenza attraverso il rinnovabile: il progetto è quello di procedere alla decarbonizzazione entro il 2045, se non prima.

La conformazione geografica delle Hawaii le rende un perfetto laboratorio a cielo aperto dove tentare di raggiungere l’autonomia energia attraverso una fornitura green basata su fonti rinnovabili che sfruttino l’elevato potenziale di sole, vento e geotermia e alla conseguente decarbonizzazione. Il progresso economico ha già notevolmente ridotto i costi di tali scelte virtuose, una situazione che sommata all’elevato costo dell’elettricità – più del doppio di qualsiasi altro Stato USA – ha accelerato negli ultimi anni l’instaurarsi di politiche basate sul rinnovabile.

Da quando nel 1888 venne avviata la prima centralina idroelettrica la produzione d’energia rinnovabile sull’isola non ha segnalato grande sviluppo: fino ai primi anni del 2000, nell’isola non si contavano che alcuni impianti in grado di raggiungere a malapena una produzione capace di coprire il 10% della domanda. Qualcosa è cambiato a partire dal 2010, con il fotovoltaico che ha svolto un ruolo fondamentale con circa 80.000 impianti installati: la produzione ha oggi raggiunto circa il 26% con una famiglia su sei dotata di un impianto termico per riscaldare l’acqua. Il confronto con il resto degli USA è impressionante: negli altri stati viene raggiunto a mala pena l’1% ed è spesso assente alcun obbligo d’installazione di impianti fotovoltaici sui nuovo edifici, obbligatori nelle Hawaii proprio a partire dal 2010.

Nel 2015 un ulteriore passo in avanti: una legge che, grazie alla pressione dell’opinione pubblica ampiamente schierata a favore dell’energia rinnovabile, ha previsto la totale decarbonizzazione entro il 2045. Legge integrata nell’ultimo anno con una proposta che rimette in discussione l’intero sistema dei trasporti puntando alla mobilità elettrica, sempre entro il 2045. Il percorso che porterà le Hawaii verso l’indipendenza energetica è estremamente interessante sul piano gestionale, piuttosto che tecnologico, e potrebbe rappresentare un ottimo esempio da cui trarre lezione per importarne il modello.

Nonostante le grandi potenzialità le utilities, che nel 2013 avevano manifestato la propria diffidenza sulla capacità di gestione della rete, hanno presentato un piano che prevede il raggiungimento del 48% della produzione entro il 2020 e il 100% nel 2040. Il programma delle Hawaiian Electric Companies anticipa di cinque anni la decarbonizzazione, sperando di sfruttare al meglio gli incentivi nazionali messi sul piatto nell’ultimo periodo. Le prossime tappe prevedono l’installazione di circa 1000 MW, suddivisi tra fotovoltaici – quasi il 70% – eolico e un programma di efficienza dei consumi, che porterebbero le rinnovabili a raddoppiare la quota arrivando a superare il 50%.

Da un punto di vista tecnologico la sfida più grande è legata allo sviluppo di impianti dotati di sistemi in grado di fornire un significativo stoccaggio dell’energia: tale aspetto da tecnologico diventa gestionale poiché la grande competitività sistema fotovoltaico con accumulo potrebbe rendere estremamente vantaggioso per le utenze staccarsi dalla rete e rendersi totalmente autonomi. Tale riflessione è stata presentata nel programma senza però specificare le cifre previste, che sono state considerate confidenziali: non facciamo fatica a credere che tale aspetto rallenterà le stime presentate nel programma stesso.

D’altro canto è stata totalmente interrotta l’importazione di gas per evitare di rallentare la svolta verso il rinnovabile: una scelta politica ed economica decisa che sottolinea ancora una volta la necessità di scelte che vengano difese e calcolate nel lungo periodo. Da tenere sotto osservazione saranno proprie le scelte gestionali di una transizione inevitabile ma dal tracciato ricco di trappole e insidie.

Francesco Spiedo

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