Mazzini decise di partire dai giovani per fondare un movimento storico protagonista del risorgimento italiano e che contribuì con fatti ed idee all’unità del paese, la Giovine Italia. Sarà che la fortuna aiuta gli audaci e i giovani, ma l’unità ha dato ottimi risultati sia in termini economici che politici. A circa cento anni dall’unità d’Italia, negli anni ’60 del novecento, ci si è accorti di come il calcio fosse uno strumento di aggregazione estremamente efficiente per questo popolo, che ogni volta che vede in campo la maglia azzurra ritrova un orgoglio che per la maggior parte dell’anno è sopito. Il sud non si sente schiavo e il nord non si sente superiore, tutti sono italiani e tutti s’identificano nel tricolore. Ecco perché la mancata qualificazione al Mondiale 2018 è stato un momento devastante non solo per il calcio italiano, quanto per l’intera comunità. Non si tratta di una semplice partita di calcio. In un momento di difficoltà per il paese l’elemento aggregativo non c’è stato e ha lasciato spazio solo a divisioni e rivalità. Giovani contro vecchi, uomini e donne di sinistra contro uomini e donne di destra, nord contro sud, italiani contro stranieri. Il Mondiale che sospende le “guerre” e le polemiche continuamente presenti in questo paese, un po’ come le Olimpiadi ai tempi dei greci. Quelle stesse critiche, che con la mancata qualificazione aumentano. Arriva Mancini e parte un processo di cambiamento incredibile. Più che compiere una rottamazione, Mancini rilancia un intero movimento, partendo dal basso, partendo da quei giovani che sono ritenuti “scarsi” semplicemente perché le grandi squadre sono maggiormente concentrate sui grandi nomi stranieri, che, però, non considerano il campionato italiano una meta da raggiungere, ma più che altro il posto in cui concludere la propria carriera o la rampa di lancio verso una carriera brillante.
Mancini non guarda la provenienza. Se sei forte e hai qualità, giochi. Dopo un periodo di assestamento ecco che l’Italia inizia a maturare in termini di gioco, offrendo prestazioni di enorme livello alla Uefa Nations League e per poco non si qualifica alle Final Four. La Giovine Italia di Mancini funziona. Lazzari, dopo un inizio certamente non esaltante, grazie all’insistenza del ct, inizia a maturare e ad offrire buone prestazioni in azzurro e ottime con la SPAL. Tonali, dopo un anno di B a gran sorpresa è convocato per le amichevoli di novembre, comportandosi bene e tornando a Brescia con tante motivazioni e tanti osservatori. Grifo e Kean, sconosciuti ai più, convincono non poco gli addetti ai lavori nell’amichevole contro gli USA. Barella e Chiesa pur essendo giovanissimi sembrano addirittura essere giocatori esperti rispetto a quelli succitati, così come lo stesso Bernardeschi. Insomma, Mancini fa partire una vera rivoluzione. Mette la nazionale in un certo senso al servizio dei club, dà la possibilità, soprattutto nelle partite di minor portata, ai giovani la possibilità di potersi mettere in luce e soprattutto di fare esperienza. Quell’esperienza internazionale che alla nostra nazionale è mancata e che sarebbe stata probabilmente decisiva quantomeno per la qualificazione alla kermesse di Russia. La nazionale così diventa una vetrina di giocatori prestigiosi e pronti a mostrare tutto il loro talento sia ai presidenti delle squadre medio piccole, dalle quali provengono e pronti a rivenderli a caro prezzo, sia agli occhi di quelle stesse big, che adesso, consapevoli di avere tra le mani potenziali talenti a prezzi contenuti, rispetto agli stranieri che inseguivano fino a qualche mese prima, sono pronte a fare qualche investimento. Si noti il clamore mediatico suscitato dai Lazzari, dai Tonali che adesso nei loro club hanno già dato prova di aver acquisito una maggiore sicurezza e una maggiore personalità.
In questo paese c’è il costante vizio di metter bocca su tutto e, soprattutto, una costante frenetica impazienza verso i giovani, bollati e il più delle volte bruciati con giudizi irriverenti alla prima palla sprecata. “Quello è forte, ma non segna; quello è tecnico, ma manca di personalità”. Manco se i Totti, i Del Piero e gli Inzaghi fossero nati già esperti. Un’impazienza che porta a pensare più al presente che al futuro e molto, troppo spesso a vivere di ricordi. E allora ecco che prende il via la malinconia pensando alla Golden Age del nostro calcio negli anni novanta e che automaticamente aumenta la brama di vittorie del tifo. Ecco, dunque, che Mancini è un folle, che rischia un europeo per dare spazio a giovani, quando Buffon, De Rossi e Barzagli nonostante la loro età sono giocatori più che affidabili.
Per carità, qui non c’è nessuno che pensa che i tre giocatori citati non possano essere utili alla causa. Certo l’esperienza, la qualità e la cattiveria sotto porta servono a questa squadra, ma dall’altro lato c’è la voglia di abbandonare i ricordi e di lasciare crescere il primo vero progetto che sta avvicinando nuovamente gli Italiani alla loro nazionale. La Giovine Italia è una squadra che corre, che ha grinta, che ha carattere e qualità. Certo, manca qualche gol e la strada sembra essere solo in salita, ma era così anche per gli attivisti della Giovine Italia mazziniana, per i mille di Garibaldi e per tanti altri eroi della storia italiana. Non sarà facile competere con le super potenze straniere, considerando che la sola qualificazione, risultato che appariva scontato fino a qualche tempo fa, oggi renderebbe il calcio italiano orgoglioso di sé. La verità è, dunque, scomodando Machiavelli, che bisogna avere pazienza e lasciar fare ai nostri ragazzi, accettando con maggior favore qualche loro errore, perché il futuro è nelle loro mani e perché i giovani con la loro audacia e la loro qualità possono far tornare grande la nostra Italia.
Fonte immagine in evidenza: La Stampa
Giovanni Ruoppo