Negli ultimi giorni sono stati resi noti i risultati di uno studio di Transparency International sulla percezione della corruzione nel settore pubblico e politico in 168 Paesi. Alle varie nazioni, sono stati attribuiti dei punti con una scala da 0 a 100, nella quale più alto è il punteggio e minore è la percezione della corruzione.
L’Italia occupa la sessantunesima posizione in questa speciale classifica, con un punteggio pari a 44, ed è appena penultima tra gli stati membri dell’Unione Europea. Peggio di noi fa solamente la Bulgaria. Infatti ci siamo posizionati dietro a nazioni nelle quali la corruzione è notoriamente dilagante come Romania e Grecia. Tuttavia, rispetto alla classifica dell’anno scorso, stilata sempre da Trasparency International, c’è stato un lieve miglioramento, in quanto il nostro Paese ha guadagnato un punto, invertendo per la prima volta questa tendenza così negativa.
Il presidente di Transparency International Italia, Virginio Carnevali, ha dichiarato:
“Come dimostra la cronaca, la strada è ancora molto lunga e in salita, ma con la perseveranza i risultati si possono raggiungere. In questi giorni la Camera ha approvato le norme sul whistleblowing. Le pubbliche amministrazioni stanno diventando via via più aperte e trasparenti, una proposta di regolamentazione delle attività di lobbying è arrivata a Montecitorio”.
Al vertice della classifica troviamo la Danimarca con 91 punti, la ricorrono da vicino Finlandia e Svezia; così i Paesi del Nord Europa si dimostrano ancora una volta tra i meno corrotti al mondo. In fondo alla classifica ci sono sempre Somalia e Corea del Nord, che ci dimostrano come la corruzione possa trovare terreno fertile in Paesi con tradizioni e usanze così diverse tra loro.
Lucio Picci, professore ordinario al dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Bologna, ha pubblicato un articolo nel quale mostra quale sarebbe il reddito degli italiani se la corruzione diminuisse arrivando ai livelli di quella tedesca.
Secondo il professore, il nostro reddito individuale aumenterebbe di circa diecimila euro l’anno, infatti ci sarebbe un aumento di circa 585 miliardi di reddito nazionale.
Picci sostiene che è difficile misurare il reale costo della corruzione perché di essa abbiamo solo un’idea vaga, in quanto corrotti e corruttori sono restii a dichiararsi e poi i suoi costi non sono solo economici, perciò molto difficili da quantificare. Ad esempio: la corruzione mina la credibilità da parte dei cittadini nel Governo, rendendolo meno forte e così le politiche da esso adottate risultano meno efficaci.
In questi giorni la Camera sta lavorando su una legge che andrà a tutelare i dipendenti che segnalano casi di malaffare nelle aziende nelle quali lavorano, quindi sembra che la politica si stia muovendo in questo senso. Tuttavia non è la politica a cambiare le abitudini sociali di un Paese, semmai tutti coloro che formano una nazione possono cambiare la politica. Il cambiamento reale deve nascere dal basso e diffondersi in tutta la società. Sono le persone comuni a dover capire che può essere più lungimirante agire onestamente che lasciarsi sedurre dalla velocità e facilità della corruzione.
Alessandro Fragola