L’attuale momento politico è uno dei rari, nella storia d’italia, in cui pur essendo il consenso dell’elettorato diviso tra due partiti principali, questi non sono antagonisti, ma al governo assieme. Si tratta di due partiti che hanno in comune una matrice che i loro detrattori chiamano “populista”: sostanzialmente dicono quello che il “popolo” vuol sentirsi dire per essere rassicurato, in un frangente storico che è ancora di tragica difficoltà.
Pare che, in questo quadro, non ci sia più spazio per proposte politiche “vecchia maniera”, basate cioè su un’idea o un progetto di ampio respiro, supportato da una base di pensiero solida e radicata. Non esistono più, a quanto pare, le famose ideologie e i partiti che le promuovono. Del resto, se la politica si riduce a tentare di soddisfare l’esigenza (legittima, per carità, in un momento di crisi economica e sociale con pochi precedenti) del “tutto e subito“, a che servono i programmi a lungo termine, la pedagogia sociale, la diffusione della cultura in tutti i sensi, da quella del lavoro a quella politica?
Soprattutto, a che potrebbero mai servire nelle realtà più lontane dai riflettori, nei cosiddetti territori e specialmente al Sud, dove si combatte ogni giorno contro disoccupazione, povertà e criminalità e si ha più che mai urgente bisogno di risposte immediate ai “problemi concreti”? Insomma, conoscendo le esigenze del Paese e di un Mezzogiorno perennemente a inseguire, e vedendo soprattutto come si sono espressi gli italiani alle urne ormai tre mesi fa, sentir parlare un politico locale come Giuseppe Cerbone di un movimento che, citando nientemeno che Antonio Gramsci (chi era costui?), si chiama “La Città Futura”, ha base ad Afragola, Città Metropolitana di Napoli, e si definisce “di sinistra” può apparire perlomeno anacronistico e dissonante, rispetto al sempre più arido panorama politico attuale.
Sono anni, infatti, che soprattutto a sinistra ci si cerca di convincere che il modo di fare politica “di sinistra” si sia estinto. Gli operai se va bene votano Lega e Movimento Cinque Stelle, si dice, con tanti saluti all’appartenenza di classe, alla bandiera rossa e alla lotta (e ovviamente al governo). Eppure, a sentire Cerbone, un movimento come “La Città Futura” non parte certo da questi presupposti. In realtà, spiega il consigliere comunale uscente di Afragola, si tratta di nient’altro che false premesse di discorsi perdenti in partenza. La sinistra viene data per morta semplicemente perché «ha abbracciato l’ideologia della classe dominante», spiega, non solo o non tanto perché sono cambiati gli elettori della sinistra; l’errore fondamentale è stato «assecondare una linea politica liberista attuata fin dalla metà degli anni ’90». In realtà, la prova che la sinistra non se n’è mai davvero “andata” è che ancora basta davvero poco per definirla: secondo Cerbone, la sinistra «è dare voce ai lavoratori, ai cittadini», incentivare la loro partecipazione, proprio nello spirito di Gramsci e della sua “Città Futura”. Il nome del movimento politico non rappresenta certo solo uno sfoggio di cultura da salotto in cui troppa sinistra in abito da intellettuale, prosegue Cerbone, si è trovata a indulgere negli ultimi anni.
Militante politico di lungo corso (ex PD), consigliere comunale uscente, in corsa con la lista de “La Città Futura” alle elezioni comunali del 10 giugno prossimo (insieme allo stesso Partito Democratico) a sostegno del candidato sindaco Tuccillo, Giuseppe Cerbone orgogliosamente elenca i lavoratori e lavoratrici che fanno parte del progetto afragolese. «La sinistra sono loro», afferma, e questa consapevolezza del valore del lavoro come presupposto dell’impegno politico è un punto fondamentale, che si ricollega al concetto di sinistra partecipativa espresso all’inizio. La sinistra sono i lavoratori, specialmente nei cosiddetti territori: senza la presenza attiva di chi vive e produce sul territorio, non si può costruire nessun tipo di progetto sociale, vera espressione della comunità.
La concezione di una politica di comunità, del resto, è caratteristica ideale della sinistra che Cerbone ha in mente di rappresentare. Si rifugga, avverte, dalle alternative facili, falsamente attente al sociale, come quelle rappresentate da quelli che definisce «brand» di successo, come il Movimento Cinque Stelle. Figlia dell’insofferenza dei cittadini nei confronti della “vecchia politica” e dell’esasperazione della personalizzazione del confronto (da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi), oggi, soprattutto a livello locale, secondo Cerbone «i cinquestelle non mettono in discussione i capisaldi del sistema, puntano solo al cambio delle persone» che lo gestiscono. In questo modo, il cambiamento è solo apparente, nella sostanza nulla si modifica.
Anche perché, nonostante in molti suggeriscano che il Movimento abbia raccolto proprio buona parte dell’emorragia di consensi a sinistra, le idee che propone nulla hanno a che fare con quel tipo di tradizione: «Flat tax e reddito di cittadinanza sono concetti che ammazzano il lavoro e l’emancipazione che ne consegue, creando un reddito fittizio e muovendo un’inflazione che non servono per niente allo sviluppo e ben poco ai consumi. Nemmeno beneficiano la dignità di chi riceve questo strumento di reddito. A sua volta, pure il capitalista è deresponsabilizzato nel creare lavoro. Il problema strutturale non si risolve», prosegue il consigliere afragolese. Ecco perché, in sostanza, ad Afragola “La Città Futura” ci tiene a marcare la differenza e la rivalità con i pentastellati.
Di problemi strutturali, specialmente nei territori del Sud eterno sconfitto (ma «La Città Futura vuole dare un segnale anche a livello nazionale, dove è interessata a porsi come un laboratorio politico innovativo per gli scoraggiati e i soli»), ce ne sono eccome. Cerbone parla persino del vero e proprio analfabetismo (oltre che del gioco d’azzardo, che spesso foraggia la criminalità), tra le piaghe sociali da sconfiggere ad Afragola: prima del reddito di cittadinanza, dunque, c’è da costruire la dignità del cittadino, la sua emancipazione. «La sinistra emancipa attraverso la partecipazione», ribadisce; non mancano i laboratori culturali messi in piedi con entusiasmo, non soltanto a beneficio dei cittadini di origine italiana, ma anche di quelli di origine straniera, per favorire quell’integrazione di cui, però, oggi si parla anche troppo, facendola diventare quasi un’arma a doppio taglio. «L’integrazione è normalità», sostiene, non un processo di “redenzione” di una persona dal suo status, talvolta marchio, di straniero o alieno con la pelle di colore diverso o lingua differente; secondo Cerbone, se non si cambia prospettiva anche su questo concetto, si rischia di trasformarlo in vuota propaganda e i suoi protagonisti diventano marionette in mano alla convenienza politica del momento.
Per Cerbone, «l’integrazione va inserita in una logica di emancipazione complessiva, è – “semplicemente” – consapevolezza dei propri diritti». Ecco perché la storia di Abdoul Fataho Bara, cittadino italiano originario del Burkina Faso e candidato nelle liste de “La Città Futura”, paradossalmente non è una storia di integrazione nel senso che oggi va per la maggiore (e che è spesso solo l’altra faccia della medaglia della discriminazione): Abdoul, laureando in Scienze Politiche presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, «non è una figurina propagandistica, è protagonista di una candidatura politica parte di un progetto che non coincide certo con la retorica dell’integrazione. È piuttosto una scelta “normale”, tanto più evidente nel momento in cui un cittadino italiano di pelle nera mette le proprie competenze a disposizione della comunità». Non c’è dubbio, del resto, che questo tipo più concreto di integrazione «parte dal territorio. Anche questa è una consapevolezza che “La Città Futura” vorrebbe porre a disposizione di una sinistra nazionale».
Difficile risollevare il problematico contesto sociale, però, senza sviluppo. Sulla ricetta da seguire, in questo senso, Cerbone è chiaro: «il simbolo de “La Città Futura” è un treno che corre (interpretabile pure come riferimento alla nuova stazione TAV, fondamentale per la crescita dell’area, ndr), insieme ad una stella rossa, che rappresenta l’identità politica, e spighe di grano, che rappresentano le radici del territorio. La direttrice su cui idealmente corre quel treno è lo sviluppo produttivo ed economico, in particolare dal punto di vista agricolo (agroalimentare e per fini industriali), beneficiando di terre non contaminate da sottrarre all’abbandono e all’edilizia selvaggia con un minimo di programmazione consapevole. I possibili prodotti del rilancio ci sono: su tutti, il pomodoro San Marzano DOP dell’agro nocerino sarnese e la canapa per uso industriale (cosmetico, alimentare, tessile, persino per la produzione di polimeri). Così, le prospettive occupazionali possono essere senza limiti. Anche l’edilizia sostenibile deve avere un ruolo, a cominciare dalla riqualificazione del centro storico, abbandonato a se stesso nonostante sia il secondo della Campania per estensione, dopo quello di Napoli: l’idea è quella di fornire incentivi amministrativi alla riqualificazione di stabili abbandonati e inutilizzati o dei bassi del centro storico ad uso commerciale, il tutto che si possa mettere in moto in meno di una settimana. Così si ridarebbe lavoro soprattutto alle maestranze afragolesi altamente specializzate che vengono richieste in tutta Europa». «La ricchezza ad Afragola è nelle mani di pochi – continua Cerbone – creando più lavoro e reddito, a sua volta si produrrà maggiore democrazia e minore ricattabilità da parte della criminalità organizzata, aumentando la cultura della legalità».
I compagni di viaggio in questa impresa, conclude il consigliere uscente, sono diversi e di diverse estrazioni politiche a sinistra: da Rifondazione Comunista ai fuoriusciti dal PD, allo stesso PD con cui si corre insieme per lo stesso candidato sindaco, le anime sembrano diverse, se si ragiona con gli occhi della politica nazionale. Ma la sinistra “dura e pura” non era fiera antagonista dei Dem? «Il PD nei territori è un’altra cosa – spiega Cerbone – Si associa alla lotta contro la parte “sporca”, “inquietante” della società, che continua a speculare sulla torta sempre più piccola che è rimasta da spartire. Non si sente il bisogno di divisioni a livello locale. La storia della politica nazionale è autonoma rispetto a quella territoriale. E non è l’unico caso di lotta e di governo: ecco perché bisogna farlo conoscere, per diffondere questa cultura a livello nazionale».
Ludovico Maremonti