Occorre una patrimoniale sulle grandi ricchezze, (non) serve spiegare perché
Il tesoro della patrimoniale è ben custodito. Fonte: suwall.com, uploader: mbloom

Una patrimoniale nel nostro Paese? Un tabù che descrive il male nella sua forma più pura e la cui repulsione viene osservata con rigoroso fanatismo. Agitata soltanto come spauracchio giacobino e scomparsa dal dibattito pubblico italiano, provoca immediatamente una damnatio memoriae anche solo a nominarla.

Sotto il peso di questa coltre inquisitoria da quindicesimo secolo, dopo anni di complice silenzio, negli ultimi mesi si è ripreso a discutere di patrimoniale, naturalmente nei termini e nei parametri sopraindicati. C’è chi accusa e chi si difende, nessuno che afferri il toro per le corna: rivedere la fiscalità italiana in senso progressivo e aggredire i grandi patrimoni è una necessità improrogabile. Perché? Non si dovrebbero addurre spiegazioni e giustificazioni, ma gli imperanti pregiudizi ideologici ne richiedono qualcuna.

La psicosi italiana da fisco e la patrimoniale impossibile

La patrimoniale è un’imposta che viene applicata sul patrimonio sia mobile che immobile (denaro liquido, obbligazioni azionarie, case, preziosi) di persone fisiche e giuridiche. La sua relazione col più volte definito “Paese dell’individualismo” assume tratti marcatamente conflittuali. La riluttanza della classe politica nei confronti dell’innominabile patrimoniale affonda le proprie radici nelle viscere del corpo sociale italiano, in un più generale rapporto disfunzionale con la fiscalità, che negli ultimi decenni si è coniugato saldamente all’imperante dottrina neoliberista.

Il clima di ostilità e sospetto della borghesia italiana verso il prelievo pubblico e verso il ruolo dello Stato nell’economia in generale, già storicamente assai sentiti, si è rafforzato definitivamente con l’eclissarsi della rilevanza politica delle sinistre marxiste a partire dagli anni ’90, con la deregolamentazione, la finanziarizzazione e la globalizzazione dell’economia liberista. Nello stesso periodo, alcune controverse operazioni di finanza pubblica hanno assestato un colpo fatale alle ipotesi di grandi interventi pubblici in ambito fiscale.

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Quella del monopoli è l’unica patrimoniale che gli italiani sono disposti a pagare. Fonte: sanmarinofixing.com

Si tratta del traumatico ricordo, ancora impresso nella cultura popolare, dell’imposta patrimoniale una tantum del governo Amato per salvare il bilancio pubblico nel 1992, e del prelievo sui grandi patrimoni, assai modesto, del governo Prodi nel 1996. Interventi eccezionali, ma già allora necessari. Eppure, gli incubi dei prelievi forzosi dai conti correnti e delle tasse sugli immobili ancora agitano i sogni dei risparmiatori più diffidenti, e sono largamente percepiti come ingiustizie marchiane, addirittura espressive di un “tradimento dello Stato”.

Dopodiché, complici i governi Berlusconi e l’egemonia culturale liberista, in un contesto in cui le imposte sono demonizzate ideologicamente e considerate un’impropria vessazione, non è stato più possibile parlare di patrimoniale in Italia, e un unico mantra ha risuonato nelle stanze della politica: la riduzione delle tasse tout court. Tutte le forze politiche, dai sovranisti ai socialdemocratici, hanno raccolto questa eredità psicologica e socio-culturale, ed anche paventare una rimodulazione del cuneo fiscale per improntarlo ad una maggiore progressività, peraltro sancita dall’articolo 53 della Costituzione, ha finito per animare sospetti e suscitare sentimenti maccartisti.

Proprio per queste ragioni socio-antropologiche nazionali, già accerchiati dalle accuse di “sovietizzazione dell’economia”, il premier Conte e il ministro dell’economia Gualtieri si sono affannati a smentire le voci di una possibile mini-patrimoniale sui grandi capitali, che era trapelata da alcune indiscrezioni.

L’Italia della disuguaglianza economica

L’avversione categorica e irrazionale per la patrimoniale, trasmessa da una classe dirigente spregiudicata anche alle masse popolari e alla classe media, è stata gravida di conseguenze. Tutto ciò si è naturalmente tradotto in una rimozione freudiana dal dibattito pubblico sulla questione della disuguaglianza.

Ciononostante, ed anzi forse proprio per questo motivo, le disparità economiche hanno continuato ad aggravarsi in modo incontrollato negli ultimi decenni. Nel 2019, secondo il rapporto time to care” di Oxfam, un ristretto 20% degli italiani detiene quasi il 70% della ricchezza netta nazionale, mentre una dissanguata classe media, ridotta al 20% del totale, ne possiede il 17%, e il 60% più povero possiede poco più del 13% del patrimonio del Paese. Il patrimonio di tre miliardari italiani (nomi e cognomi: Ferrero, Del Vecchio e Pessina), corrisponde al 10% del totale. E la tassazione sui grandi patrimoni in questione? Modesta, ridotta a piccole imposte senza un quadro complessivo, produce un gettito pari soltanto al 2,7% del PIL.

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Fonte: festascienzafilosofia.it

Al sopravvenire di fatti che hanno aggravato la salute dell’economia, ossia la pandemia Covid-19 e il conseguente lockdown, una spirale recessiva potenzialmente catastrofica, soprattutto per il nostro Paese, accentuerebbe la necessità di reperire risorse per rilanciare l’economia senza peggiorare ulteriormente il quadro delle disuguaglianze.

Un sistema progressivo di aliquote con imposte patrimoniali, improntato a razionalità ed efficienza, significherebbe una ricalibrazione complessiva delle imposte, una diminuzione degli oneri fiscali sul reddito da lavoro e un welfare più esteso. Questo non solo comporterebbe l’immediato appianamento delle disuguaglianze, ma anche imprese più performanti e maggiori occupazione e mobilità sociale. Per nulla simile al capestro fiscale espropriativo che si evoca, una patrimoniale così concepita potrebbe garantire benefici strutturali, distribuiti alla collettività nel suo complesso, ma anche immettere ossigeno prezioso per superare la contingente crisi economica.

Essa demolisce, infine, la logica perversa della privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite, e rilancia un’idea di società più equa ed orientata ad una crescita socialmente sostenibile. Secondo Bernie Sanders «billionaires should not exist», ma quantomeno un loro contributo fiscale proporzionato alle ricchezze sempre più immense che accumulano rappresenta un segnale minimo ed indispensabile di responsabilità sociale.

«Le tasse [patrimoniali] sono una cosa bellissima»

Così dichiarava, ormai nel lontano 2007, il compianto Tommaso Padoa-Schioppa, e non si trattò di una rassegnata parafrasi del kubrickiano “come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba”. Continuava, infatti, così: «un modo civilissimo di contribuire, tutti insieme e secondo le proprie possibilità, a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute». Parole di buon senso logico e politico, raramente espresse con tanta serenità, che al tempo suscitarono reazioni indignate e livorose, a cui fanno eco una cultura ideologicamente espressa oggi dalla destra forza-leghista, dalla Confidustria di Bonomi e da certa stampa sediziosa.

Ma l’Italia è sempre più isolata in questo macchiettistico oscurantismo anti-tasse. La consapevolezza della necessità di imposte più progressive, fortunatamente, emerge a livello globale: la stragrande maggioranza del pensiero economico internazionale è concorde nel considerare le disuguaglianze, che sono tali non solo e non tanto nel reddito percepito ma soprattutto nel prelievo fiscale rispetto al patrimonio, incompatibili con lo Stato Sociale di diritto e quindi insostenibili. L’attività redistributiva dei poteri pubblici viene ormai largamente considerata essenziale in tal senso, e sempre più spesso messa in pratica. In molti paesi europei, e addirittura negli Stati Uniti, l’idea della patrimoniale, oppure di una sua estensione, si fa strada nel dibattito pubblico.

Tommaso Padoa-Schioppa, economista e ministro del governo Prodi II. Fonte: econopoly.ilsole24ore.com

L’esasperata disuguaglianza economica non è infatti un’urgenza solo italiana, ma anche europea ed internazionale: Oxfam riporta che 2.153 individui detengono un patrimonio superiore alla ricchezza di 4,6 miliardi di persone, mentre alla metà più povera della popolazione resta meno dell’1%. Si tratta di un elemento esiziale, poiché la mobilità globale dei flussi di capitale, dei patrimoni e delle sedi legali e fiscali delle società e delle multinazionali verso regimi a fiscalità vantaggiosa è l’ostacolo più insidioso per qualsiasi ipotesi di patrimoniale, che esige, secondo economisti del calibro di Thomas Piketty, un coordinamento sovranazionale (soprattutto europeo) in materia di tassazione, rispetto al quale si sta prendendo consapevolezza.

Le contingenze sono feconde, eppure la battaglia per la patrimoniale nel nostro Paese parte con le armi spuntate: nessuna forza politica di primo piano pare disposta ad intestarsi questo scomodo obiettivo di lungo periodo, essenziale per qualsiasi visione che intenda rilanciare il sistema-Paese. Ancora una volta, nessuno è disposto a mettere le mani nelle tasche di certi italiani.

Luigi Iannone

Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

1 commento

  1. Per me convinto sostenitore della progressività fiscale e di una patrimoniale, il testo appena letto è da condividere ma è pur sempre una ovvietà. L’unica forza politica che di potrebbe intestare una battaglia politica di questa natura è Rifondazione Comunista

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