Simonetta Cesaroni, la ragazza di 21 anni uccisa negli uffici dell’A.I.A.G. (Associazione italiana alberghi della gioventù), dove lavorava come segretaria, non ha ad oggi né un movente, né un colpevole. Era il 7 Agosto del 1990, il corpo di Simonetta Cesaroni giaceva già da ore sul pavimento di quel palazzo di via Carlo Poma, quando venne ritrovato alle 23:30 circa.
Simonetta Cesaroni è stata uccisa con violenza e crudeltà: 29 colpi su tutto il corpo, inferti probabilmente con un taglia carte, un’ecchimosi sulla tempia, causata da uno schiaffo molto forte che la fece svenire prima dell’omicidio stesso.
Tanti sono i punti ancora oscuri, conseguenza questa di un’indagine partita per colpevolizzare, per trovare un assassino ad ogni costo, un assassino, non l’assassino. In Italia persiste questa tendenza a colpevolizzare immediatamente chi sembra stia mentendo e le indagini si svolgono per trovare prove della sua colpevolezza, non prove oggettive che possano davvero essere tracce volte alla cattura dell’assassino. Anche nel caso di Simonetta è stato così: da subito venne sospettato il portiere del palazzo Pietrino Vanacore, che in carcere restò un solo mese poiché il suo DNA non era compatibile con il sangue trovato sulla maniglia dell’ufficio. Nonostante il giudice attestò la sua innocenza, Pietrino continuava a sentire quel dito puntato contro, un dito pesantissimo che per anni tormentò lui e tutta la sua famiglia, un giudizio troppo pesante che non riuscì a superare, portandolo al suicidio 20 anni dopo il delitto di via Poma.
Le indagini proseguirono, e piombarono nell’occhio del ciclone dapprima Federico Valle, un inquilino dello stesso palazzo dove era situato l’ufficio, poi, non avendo prove concrete per la sua colpevolezza, fu la volta di Raniero Busco, al tempo fidanzato di Simonetta Cesaroni. Erano ormai passati diciassette anni dal delitto e si decise di prelevare il DNA a 30 persone, tra cui Busco, per metterlo a confronto con i tamponi biologici eseguiti sul reggiseno e sui vestiti della vittima. Sembrarono esserci delle compatibilità proprio con il DNA del suo ex fidanzato, inoltre a lui venne attribuito un morso sul seno della giovane, un’ulteriore prova che, nel Gennaio del 2011, lo fece condannare in primo grado a 24 anni di reclusione per l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Esattamente un anno dopo il rovesciamento del secondo grado: l’arcata dentaria non sembrava più coincidere, il morso si scoprì essere in realtà un livido, Busco venne dichiarato innocente. La conferma in Cassazione è del 26 febbraio dello scorso anno, “Raniero Busco non ha commesso il fatto”.
Simonetta Cesaroni e il delitto di via Poma non hanno un colpevole neanche dopo 25 anni e sembra un omicidio destinato alla “prescrizione”, come di tendenza.
Come Simonetta anche Chiara Poggi e Yara Gambirasio: tanti i sospetti, tanti i processi e le persone coinvolte ma ancora nessuno in via definitiva. Meredith Kercher, ancora aspetta giustizia, nel suo caso l’unico condannato in via definitiva è Rudy Hermann Guede, condannato per concorso in omicidio: concorso con altri assassini si presuppone, ma per i giudici la sua testimonianza non è attendibile.
Purtroppo tanti sono i delitti ancora irrisolti nel nostro Paese e troppi sono gli errori giudiziari e le ingiuste detenzioni: solo nel 2014 l’Italia ha pagato 1 milione e 658 mila euro come risarcimento per errori giudiziari, sono cifre importanti, che fanno paura se si pensa che un innocente è stato privato della sua libertà senza alcun motivo, magari basandosi su prove indiziarie.
Secondo Carmelo Lavorino, criminologo, investigatore criminale, profiler e analista della scena del crimine, molti sono stati gli errori nell’indagine sul delitto di via Poma, primo tra tutti l’orario: la morte sarebbe avvenuta intorno alle 16:30, non alle 17:35 come si pensava, secondo l’analisi del processo digestivo di Simonetta Cesaroni; non vennero presi in considerazione eventuali tracce di saliva sul capezzolo della vittima e molti altri sono i vuoti e gli errori in questa vicenda che sembra non riuscire a trovare una soluzione.
Alessia Centi Pizzutilli