Lo scorso 11 Agosto su Netflix ha debuttato Atypical, tv series molto breve incentrata sulla tematica dell’autismo. Dopo Tredici e Fino all’Osso, ecco un’analisi sulla nuova serie e sul perché questo modo di affrontare il sociale può avere dei riscontri positivi sui giovani spettatori e non solo.
Dallo scorso 11 Agosto è disponibile sul portale Netflix la nuova tv series “Atypical”.
Un titolo davvero esplicativo in rapporto al suo contenuto, perché ancora una volta – dopo il clamore di Thirteen Reasons Why (Tredici) e To the Bone (Fino all’osso) – da Los Gatos California (sede ufficiale di Netflix) si continua a dare attenzioni a tematiche sociali: questa volta è toccato all’autismo.
“L’Autismo – dice wikipedia – è la perdita del contatto con la realtà e la corrispondente costruzione di una vita interiore propria, che viene anteposta alla realtà stessa: è frequente nella schizofrenia e in alcune psiconevrosi.”
Il nostro protagonista Sam, ha 18 anni, va a scuola e ama i pinguini, l’Antartide, il ghiaccio. Quando la vita lo delude perché non riesce a comprenderlo, si chiude in se stesso.
Si rannicchia nel letto di camera sua, chiude gli occhi e pone il suo sguardo interiore altrove, il più delle volte in Antartide con i pinguini. Dice che sono migliori degli esseri umani, che hanno maggiore coerenza e che quando scelgono è per sempre.
E così si rapporta anche all’amore, in maniera del tutto autentica. È ingenuo, ha difficoltà, ma è privo di inibizioni. Ha una mamma che non sa più vivere al di fuori dal suo status di mamma iperprotettiva e onnipresente. Ha un padre che ammette la sue difficoltà nel comunicare con il figlio nonostante i suoi costanti approcci e che è il coach di sua figlia, Casey.
Interpretata in maniera impeccabile da Brigette Lundy-Paine, Casey è il personaggio chiave, poiché tiene insieme tutti gli ambiti nei quali si svolge la storia. È sportiva, comunicativa, è soprattutto una sorella: schietta, scherzosa, dura. Farebbe di tutto per Sam, nonostante si diverta a spaventarlo sbucando fuori dal suo armadio all’improvviso.
Ai produttori si può rimproverare di non aver osato molto, soprattutto nel finale; qualche cliché di troppo, come ha giustamente constatato la maggior parte degli spettatori, ma la visione è consigliatissima. Non a caso, Atypical potrebbe risultare il prodotto di questo filone riuscito meglio.
Parla ad un pubblico giovane di problematiche importanti e di realtà che la società fa ancora fatica a gestire – come l’autismo – e lo fa attraverso l’effetto del contrario: l’umorismo. La serie ideata da Robia Rashid e diretta da Seth Gordon è, come l’ha definita anche Smart World, “una commedia in equilibrio sul drammatico”.
In un primo momento fa divertire il fatto che Sam non sappia sorridere con naturalezza, che sia in chiaro imbarazzo quando di fronte ad una ragazza, ma poi ci si ripensa. E si passa allo step successivo dell’umorismo: la riflessione.
Non è cruda come Thirteen Reason Why, che ancora oggi è censurata in molti paesi con l’accusa di favorire nelle giovani menti il fenomeno dell’imitazione e la conseguente istigazione al suicidio. Al contrario, Atypical pone il disagio di Sam in tutto ciò che lo circonda con fare scherzoso, talvolta anche nell’ottica dello stesso protagonista.
Otto puntate da mezz’ora ciascuna, che probabilmente non vi faranno impazzire, ma vi faranno sorridere e pensare all’amore. A quanto a volte possa essere difficile comunicare un sentimento anche se non si è autistici, è una metafora valida lo stesso: avere qualcosa dentro e non riuscire a cacciarlo fuori per paura, perché non si è mai capaci davvero di amare. Di stare al mondo. Ma provarci comunque.
Giuseppe Luisi