Il Parlamento pakistano è insorto contro il delitto d’onore: il 6 ottobre è stata difatti approvata all’unanimità una proposta di legge che introduce una condanna certa per chiunque si macchi di quello che è divenuto a tutti gli effetti un reato.
La sanzione introdotta impedisce agli eredi legali della vittima di perdonare l’assassino al fine di evitargli conseguenze quali la reclusione o la morte. Questo tipo di possibilità resta in piedi solo nel caso in cui il reo sia stato condannato alla pena capitale – in una circostanza simile, qualora vi fosse il perdono, il colpevole sarebbe comunque tenuto a scontare l’ergastolo.
Nella medesima sessione è stato approvato anche un secondo disegno di legge allo scopo di contrastare l’abuso sessuale. La legge “anti-stupro” introduce per la prima volta la possibilità di ricorrere all’esame del DNA per certificare la colpevolezza dello stupratore e punisce i colpevoli con venticinque anni di reclusione – «La stazione di polizia avrà l’obbligo di informare le vittime circa i loro diritti legali» specifica il ministro Zaid Hamid, sottolineando l’importanza che avrà l’applicazione della legge nel quotidiano di donne, minori e disabili, vale a dire le categorie identificate quali più esposte al pericolo di stupro.
«Nessuna legge sradicherà interamente un crimine» afferma l’ex senatrice Sughra Imam, ma prosegue spiegando che la legge dovrebbe essere lo strumento in grado di educare la società a liberarsi da condotte distruttive.
Yasmeen Hassan, direttore esecutivo dell’ONG Equality Now, si esprime a favore dei provvedimenti, auspicando «che queste nuove leggi contribuiscano a generare un cambiamento culturale nella società pakistana e che le donne siano in grado di vivere la loro vita in condizioni di sicurezza», senza dunque essere esposte a sentenze che ne giudichino il comportamento e lo stile di vita.
Il cambiamento, soprattutto per quanto attiene al delitto d’onore, si è reso necessario a causa dell’elevato numero di aggressioni e uccisioni di donne ad opera di soggetti che hanno ritenuto leso il proprio onore dall’altrui condotta – i dati stimati tracciano una scia di morte che vede coinvolte migliaia di ragazze. Il caso della blogger Qandeel Baloch, recente e noto ai riflettori internazionali, aveva messo ancora più in evidenza la necessità di intervenire in difesa dei diritti umani e della “libertà di essere libere”.
Il premier pakistano Nawaz Sharif già nel febbraio scorso, in occasione della proiezione del cortometraggio documentario A Girl in the River: The Price of Forgiveness, si era espresso contro il diritto-usanza di ricorrere al delitto d’onore, tuttavia l’introduzione di una forma di tutela è stata possibile solo a distanza di mesi – «I nostri sforzi hanno avuto successo oggi; non c’è onore nel delitto d’onore» ha commentato il Primo Ministro ieri, congratulandosi con il Parlamento e con tutti coloro che hanno contribuito alle riforme.
Per il Pakistan si prospetta dunque una nuova sfida, per certi versi preannunciata dalle parole di Imam: una legge non abbatte un crimine, né la mentalità ad esso sottesa, ma è un segnale di cambiamento ed è ciò che, nel trovare applicazione, potrebbe sancire quel «cambiamento culturale» citato da Hassan.
Rosa Ciglio