NAPOLI – Le luci del Bellini si abbassano, cala il silenzio in sala, entra Servillo e l’attenzione del pubblico è tutta per lui. Ma ecco che inizia la lettura, e basta davvero poco per essere rapiti dalla bellezza del capolavoro manzoniano. Verrebbe da chiedersi come sia possibile che tanto fascino scaturisca solo in questo momento. A scuola, dov’era quel mistero che avvolgeva l’Innominato? E l’inettitudine di Don Abbondio? Il coraggio di Fra Cristoforo? Forse la risposta è in quella voce, che Lunedì scorso ha dato vita a personaggi spesso fissati e imprigionati in pagine di testo troppo accademiche. La sfida del nuovo commento a I promessi sposi è stata proprio questa: ridare vita e dignità al più grande romanzo italiano. Poiché l’unica funzione alla quale un testo non può adempiere da sola è l’oralità, si è preferito affidare questo compito ad un grande attore. A dimostrazione che Manzoni va letto, ma letto per davvero! Il nuovo commento a, “I promessi sposi” nasce dalla collaborazione interdisciplinare di docenti federiciani: Francesco De Cristofaro, Matteo Palumbo, Nicola De Blasi, Marco Viscardi e Giancarlo Alfano, e rappresenta una sfida in campo letterario. La voce profonda e magnetica di Toni Servillo ha fatto vivere sul palco due personaggi chiave del romanzo, volutamente messi a confronto da Manzoni perché opposti nel loro modo di svolgere la funzione di uomini di Chiesa: Don Abbondio, tanto intelligente quanto inetto, e il Cardinale Borromeo, alto nella sua moralità che adempie perfettamente al compito di ministro di Dio. In sala non solo letterati o “intellettuali”, ma un pubblico trasversale. Manzoni non è mai apparso così interessante e vicino alla contemporaneità. Tutti potevano sentirsi un po’ Don Abbondio, tutti ammiravano l’elevatezza morale del cardinal Borromeo. Il Prof. De Cristofaro ha risposto ad alcune domande per illustrare il progetto che ha portato alla realizzazione del nuovo commento a “I promessi sposi”:
Prof. De Cristofaro, come nasce l’idea e la sfida di un commento a “I promessi sposi” decisamente più innovativo rispetto ai commenti tradizionali?
Nasce dalla generosità dell’ADI, la nostra Associazione degli Italianisti, che ha avuto l’ardire di chiedere a me, che non ne facevo parte perché ‘di mestiere’ faccio il comparatista, un nuovo commento al classico della nostra modernità. Può sembrare un po’ inconsciente come scelta, tanto più che la collana è in assoluto la più prestigiosa in Italia (la BUR): ma in realtà non lo è, perché Manzoni è un autore profondamente europeo, che dialoga con i classici e con il grande canone del realismo ottocentesco, ma anche, per paradosso metastorico, con i giganti della letteratura novecentesca.
Cosa differenzia questo commento dagli altri?
Molte cose. Il lavoro d’équipe, la scelta di un corpo-a-corpo ermeneutico, l’idea di circondare il testo di saggi (una specie di poliercetica interpretativa). E poi la Colonna Infame, pubblicata di seguito (come nell’edizione Quarantana), e le immagini, per la prima volta commentate ad una ad una: anche queste Manzoni le volle, fortissimamente volle a corredo (e che quindi devono necessariamente far parte di un’edizione fedele), e che hanno una funzione anche di “portolano”, per orientarsi nel testo.
I grandi classici della letteratura, come Manzoni, sono spesso considerati dagli studenti noiosi. Eppure, diversi gli esperimenti di rendere i grandi della letteratura alla portata di tutti, è un esempio Il giovane favoloso di Martone. Il libro sembra avere lo stesso intento: capire e apprezzare la grandezza di Manzoni, esulando dalle nozioni scolastiche. Crede che in questo modo certi autori potranno liberarsi dalle catene dello sterile accademismo?
È la sfida che ci attende. Liberare i classici dalle pastoie della cattiva scuola, farne emergere i “valori” per trasmetterli al next millennium, scrollarci di dosso (noi ‘professori’) quella prosopopea che ci fa dimenticare così spesso di non essere che dei “piccoli maestri”, delle cinghie di trasmissione di una macchina fondamentale e facile a incepparsi. Sì, perché questa è, come per i personaggi del romanzo di Meneghello, una forma di resistenza: se resistiamo noi, resistono molti altri (non tutti!) insieme a noi. Altrimenti diventa tutto inutile.
Durante la presentazione del libro, Toni Servillo ha letto un passo del romanzo manzoniano. Come mai la scelta di chiedere ad un grande attore di interpretare personaggi chiave del romanzo, come Don Abbondio e il Cardinale Borromeo?
È il regalo più grande che potessi ricevere: un sogno a occhi aperti. E non ci crederà, ma Toni ha fatto tutto da solo: infatti mi ha davvero colpito questa scelta, così poco convenzionale e così moderna. Anche a noi, che pure lavoriamo su Manzoni da anni, era sfuggita la pregnanza di alcuni passaggi del capitolo XXVI, in cui sembra di sentire già la voce del Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov. È il «miracolo di comunicazione» di cui parlava Giuseppe Montesano durante questa presentazione: sentendo la «voce umana» che legge il testo con le giuste modulazioni e (diciamo così) i chiaroscuri fonici, si comprendono altre cose sulla «verità» profonda del testo.
Lei è un Prof. giovane e punta ai giovani. Non ha mancato, infatti, di ringraziare tutti i giovani collaboratori che hanno permesso la realizzazione di questo progetto. Grazie a lei è nato l’Opificio, una fucina di idee. Le università, spesso dallo stampo ancora molto tradizionalista, guardano con un certo snobismo alla collaborazione degli studenti. Lei invece sembra anche mettersi in disparte per lasciare il libero confronto. Com’è stato lavorare con dei giovani studenti e perché è importante puntare ai giovani?
Grazie per le sue parole. Ci mettiamo l’anima, io, Gianni Maffei, Matteo Palumbo e gli ottanta studiosi che animano la nostra «eutopia». Come dico ogni volta che me ne si offre l’occasione, il dono lo fanno gli studenti a noi. E non c’è niente di più bello, utile e serio che lavorare così, orizzontalmente, con i ragazzi. E infatti, ora che ho chiuso questi due importanti lavori di squadra ― I promessi sposi, ma anche il manuale di Letterature comparate, cui tengo altrettanto ― ho una grande voglia di reimmergermi nella ‘buona pratica’ quotidiana dell’Opificio, che è davvero il luogo che dà senso a tutto questo, e in cui tutto questo è nato.
Il Prof. De Cristofaro e i suoi collaboratori presenteranno il libro in diverse scuole italiane. Non è assolutamente da sottovalutare un progetto del genere. È rivoluzionario perché è il primo esperimento che prova a fare un’operazione di svecchiamento dell’accademismo italiano che avrà riscontri certamente anche all’estero. È un testo rivolto alle scuole e alle università. Ci sarà un nuovo modo di fare ed insegnare letteratura, dal taglio più fresco e moderno. A fare questa coraggiosa operazione un team di esperti napoletani, a dimostrazione che Napoli è ancora bacino di cultura e idee innovative.
Agnese Cavallo