È sempre più caldo il tema “Acqua pubblica” nel nostro Paese. Nelle ultime settimane la Commissione Ambiente alla Camera ha posto di nuovo al centro dell’attenzione l’attuazione (finora mancata) del referendum del 2011 sulla privatizzazione dell’acqua.
Acqua pubblica, cinque anni fa i cittadini avevano votato, con percentuali plebiscitarie, contro la privatizzazione dell’acqua. Tutto bene quel che finisce bene quindi.
Ed invece no: tra le grandi città italiane infatti nessuna ha realmente attuato quanto stabilito dal referendum. E così Roma, Milano, Venezia, Palermo hanno dato in appalto ad enti privati la gestione del più sacro dei nostri diritti.
Unica grande metropoli virtuosa, in questi anni, è stata la Città Metropolitana di Napoli. Un caso unico quello della nostra città, dove l’acqua che beviamo costa meno rispetto al resto del paese perché gestita dall’ente pubblico Abc “Acqua Bene Comune”, voluta fortemente dal sindaco De Magistris fin dai primi giorni del suo insediamento. Non fu di certo semplice, paradossalmente, far sì che il referendum venisse legittimamente applicato, gli interessi erano tanti, e la nostra rete idrica faceva gola a varie società, tra cui la famosa Gori, società del gruppo Acea, di proprietà del famigerato Caltagirone.
Gori agiva con il beneplacito della Regione Campania, la quale, sotto la presidenza dell’ex governatore Caldoro, aveva abrogato alla società ben 7 miliardi di debiti in lire.
Con il cambio di Governo a Palazzo Santa Lucia le cose sembravano definitivamente essersi messe per il meglio. Purtroppo non fu così ed il presidente di Abc, Maurizio Montalto, accusò il governatore De Luca di percorrere la stessa strada tracciata da Caldoro, dove le lobby vincono sui cittadini.
Napoli quindi, che potrebbe fare da traino al resto del paese verso l’attuazione del referendum, ma che invece sembra destinata ad essere presidio solitario: è delle ultime settimane la notizia che il Partito Democratico, che fin da subito si era dimostrato compatto a favore dell’acqua pubblica, ha avuto una parziale inversione di tendenza. Il Partito infatti si è spaccato durante le consultazioni alla Camera tra chi mantiene la linea dell’acqua pubblica come unica soluzione e chi invece apre alla privatizzazione. Duro è stato poi lo scontro tra il Partito di maggioranza e le opposizioni SEL e Movimento 5 Stelle, compatti sull’attuazione del referendum del 2011. Senza mezzi termini i grillini hanno accusato il PD di favorire le grandi multinazionali in cerca di profitto, proseguendo de facto l’opera dei due governi precedenti al governo Renzi (il governo Monti ed il governo Letta).
La proposta di legge avanzata per l’acqua pubblica si compone di 12 articoli che, in sintesi, definiscono l’acqua un bene comune, innegabile a tutti i cittadini. Ogni individuo ha diritto ad almeno 50 litri d’acqua giornalieri, il cui costo deve essere coperto dallo Stato. Essa non è mercificabile e ciò va quindi a colpire anche i colossi venditori dell’acqua in bottiglia a cui “non si rilasceranno più concessioni per sfruttamento, imbottigliamento o utilizzazione di sorgenti o corpi idrici idonei all’uso potabile. La gestione del servizio idrico inoltre deve avere finalità di pubblico interesse, sociali ed ambientali, non a scopo di lucro.”
La vicenda sembra essere lontana da una soluzione in tempi rapidi ma, si spera per i
nostri diritti, che alla lunga si riesca a far valere la volontà del popolo, espressa chiaramente ormai cinque anni fa.
Domenico Vitale