PD. Si sa, i terremoti in natura non si possono prevedere. Quella dei terremoti politici invece è categoria del tutto a sé stante: in questo campo le scosse si possono anticipare, evitare in tempo, se ne possono contenere gli effetti. A volte, però, sembra che si possano anche provocare.
Ora, il terremoto che ha coinvolto il PD in occasione del primo turno delle amministrative è stato tra i più forti che si ricordino a Napoli: Valeria Valente al 21,13% delle preferenze, 85.225 voti reali, di cui solo 43.790 direttamente al PD, l’11,63% del totale. Un disastro. Annunciato?
Dopo le primarie si sapeva che la Valente partiva con lo svantaggio del marchio del voto di scambio e dello scontro con Bassolino, che l’avevano delegittimata agli occhi dell’elettorato cittadino storico. L’unica certezza era il sostegno di Renzi, più presente in città per compensare con la sua immagine l’anonimato di una candidata a lungo nota praticamente solo per quel brutto pasticcio ai seggi targati PD. Poi, è arrivato anche il colpo d’Ala: il sostegno ricevuto e accettato dal partito dell’ex forzista Denis Verdini, con tutto il suo carico di quasi impresentabili, ha corrotto ulteriormente la fiducia della base. L’appoggio di Verdini ha danneggiato la Valente più di quanto potesse soccorrerla, è stata la pietra tombale su ambizioni mai nate davvero.
Oggi, a freddo ma neanche troppo, dopo tutti i commenti, le reprimende del Segretario/Premier al partito, i commissariamenti annunciati, le alleanze scomode ripudiate, c’è ancora qualcosa da considerare, da rielaborare, su cui aggiustare il tiro o perfezionare il giudizio, tra le macerie del post terremoto piddino? In realtà, scavando, nel tentativo di scovare qualche fortunato sopravvissuto, magari senza macchia, si trovano solo altri panni sporchi. La polemica sarà ancora lunga.
Antonio Bassolino è tra quelli che dice che il terremoto in realtà è stato indotto. Facile, ha il dente avvelenato, direte voi; beh, esatto. Dalla sua conferenza stampa di ieri emerge tutto il rancore nei confronti di un gruppo dirigente del PD napoletano (ma anche campano, nazionale… insomma, nei confronti di Renzi), che nelle ore calde del caso – primarie non l’ha sostenuto, che gli ha preferito la grigia e già compromessa Valente. Rancore che alimenta il rimpianto per non aver partecipato ad una corsa che Bassolino riteneva possibile giocarsi fino all’ultimo, se di punta avessero avuto l’intelligenza politica di mettere lui. Se non altro, a Napoli fare peggio della Valente era impossibile. <<Una sconfitta peggiore di cinque anni fa. Un disastro, annunciato e voluto, determinato dalle sub correnti cittadine del Partito Democratico>>: non ci va giù leggero, l’ex sindaco ed ex governatore, e se la prende con la politica che si nasconde dentro la politica. <<Oggi le correnti sono militarizzate>>, prosegue, <<nei circoli non si può più entrare. Ma Renzi queste cose le sa? Su Napoli chi lo informa?>>.
Renzi in effetti queste cose le sa, o le sapeva, almeno secondo il parere di Roberto Saviano: un altro che prova a cercare il perché del cedimento strutturale (pre e) post terremoto napoletano. Probabilmente, osserva lo scrittore dalle colonne di Repubblica, il colpevole del crollo è proprio l’architetto del Palazzo del PD, il quale pure in queste ore ha addossato buona parte della colpa a Verdini, discutibile capocantiere che ha procurato il materiale umano scadente per costruire le fragili liste a sostegno della Valente; quello insomma che ha aggiunto la sabbia di troppo al cemento già di quart’ordine del PD. Eppure, era già il progetto ad essere sbagliato. Consapevolmente? <<Durante le primarie>> osserva Saviano, <<il Pd si era mostrato assolutamente incapace di capire il voto di scambio. Ha poi peggiorato la propria posizione presentandosi con Ala. Cioè alleandosi – con tanto di Verdini presente in campagna elettorale – alla peggiore formazione politica del territorio (…) Anche questa alleanza è sintomo della noncuranza del presidente per il Mezzogiorno d’Italia: Ala è utile a Roma e sull’altare di questa alleanza strategica si può ben sacrificare la terza città d’Italia>>. Per costruire a Roma, dunque, Renzi avrebbe preferito radere al suolo la scricchiolante baracca napoletana. <<In fondo – l’hanno già osservato in molti – sembra quasi che il premier volesse perdere>>; non solo, <<voleva perdere perché non aveva altro modo di commissariare – come ha annunciato di voler fare solo ieri – il suo Pd>>.
Al di là dei machiavelli di Renzi, rimane il fatto che la ‘sinistra storica’ a Napoli non esiste più. Le è rimasta solo la Storia, in effetti, che sopravvive nel lapsus nostalgico di Bassolino: <<se si pensa ancora al trasformismo, sarà la fine del Pci, anzi del PD>>. Il posto della sinistra è stato preso dallo ‘scassismo’ di De Magistris, rottamatore ante litteram (<<amma scassà>> era lo slogan del 2011), come se non bastasse grillino d’adozione, o meglio adottato, se è vero che l’elettorato a cinque stelle a Napoli ha votato più lui che Brambilla (fonte: Istituto Cattaneo). Ha avuto la strada spianata verso un ballottaggio agevole, il sindaco uscente, definito da Saviano <<zapatista in salsa campana>>, giocoliere della dialettica, capace grazie all’inconsistenza del PD, per dirla con Bassolino, <<di fare campagna elettorale da oppositore pur essendo sindaco da cinque anni>>, nemico dei poteri forti, dei poteri occulti, dei poteri sporchi (quelli, per intenderci, che Renzi aveva lasciato che si mettessero sul groppone elettorale della Valente).
Soluzioni? <<Bisogna porsi domande autentiche perché alle domande autentiche non si può che rispondere con la verità. Bisogna iniziare a essere umili>>, conclude Saviano; del resto, <<mai in tanti anni si era arrivati a un tale livello di degrado>>, ripete invece un Bassolino, apparentemente ancora sotto shock.
Un corso nuovo, se si avrà la voglia di imporlo, dovrà abbandonare i palazzi e i circoli (viziosi), per tornare immediatamente alla base, quella con la “b” minuscola: quella dei cittadini, delle associazioni, dei progetti concreti, delle feste dell’unità pane e vino e, perché no, dei giovani entusiasti. Dovrà insomma dare ascolto alle “voci di dentro” della sinistra. Quelle voci che il 5 giugno scorso sono rimaste talmente dentro da non riuscire nemmeno a sussurrare una X sulla scheda elettorale sul simbolo del PD; le voci di tutti quelli, insomma, che sono fuori dal PD perché semplicemente, come avverte Bassolino, <<oggi per iscriversi al PD ci si deve prima iscrivere a una corrente>>.
Ludovico Maremonti