Sembra ormai chiaro che la svolta non arriverà neanche quest’oggi, e la Grecia dovrà continuare a barcamenarsi nell’incertezza ancora per una notte, si spera l’ultima.

Domani potrebbe essere il giorno decisivo, ma per oggi si è discusso del nulla. O meglio, si sono chiarite le posizioni degli altri vertici europei nei confronti di Tsipras e del suo martoriato Paese, posizioni belligeranti, neanche a dirlo. Ma nulla si è deliberato riguardo soluzioni concrete, e in questo, è bene dirlo, anche lo stesso leader greco sta contribuendo. È stato accertato che Atene abbia inviato quest’oggi una lettera a Esm e dirigenti europei, contenente una richiesta d’aiuto finanziaria però estremamente vaga.

C’è chi pensa che l’indeterminatezza sia voluta, anziché frutto di noncuranza, che il governo greco stia in realtà fingendo interesse verso una soluzione pacifica e concordata con l’Ue della vicenda. Domani verrà presentato il grosso del piano greco, la lista delle concrete riforme che l’esecutivo si impegnerebbe a mettere in atto con l’assenso dell’Unione, e proprio questa maggiore attenzione al piano di riforme interne rispetto alle modalità di finanziamento esterno fa pensare a molti che l’indeterminatezza di queste ultime sarebbe la conseguenza non di sospettati accordi extraeuropei già pronti e funzionanti in caso di uscita, ma l’esatto esempio dell’idea di Tsipras riguardo le politiche di stabilità Ue, ovvero fondi elargiti senza particolari clausole di restituzione, con lo Stato che ritroverebbe così la sua sovranità sul decidere come utilizzarli.

Detto che l’Europarlamento quest’oggi non ha espresso soluzioni definitive, la discussione che vi si è tenuta è stata comunque un’importante passo avanti per la delineazione delle volontà generali delle parti in causa. Un muro di ostilità si è manifestato soprattutto sul fronte tedesco, con Manfred Weber, leader del Ppe che ha insistito sulle responsabilità della Grecia riguardo tutti gli altri paesi dell’eurozona, soprattutto quelli in crisi: «Saranno la Spagna, il Portogallo, le infermiere in Slovacchia a pagare i suoi debiti. Lei ha organizzato un referendum, ora anche la Slovacchia lo vuole fare perché ne hanno abbastanza di pagare per voi». Non meno dura è stata la replica alle molte critiche di Tsipras, che a dire la verità qualche applauso l’ha anche raccolto, ovviamente da parte degli euroscettici, a fronte dei molti fischi, neanche fossimo in uno stadio.

«La mia patria si è trasformata in un laboratorio sperimentale di austerità, ma l’esperimento non ha avuto successo» ha dichiarato il premier greco, che ha poi riproposto il paragone tra la sua Grecia e la Germania del secondo dopoguerra (con la differenza che la Grecia, almeno fino ad ora, non si è macchiata di alcun olocausto, nda): «un taglio del debito per poter essere in grado di restituire i soldi: ricordo che il momento di massima solidarietà nella Ue è stato nel 1953 quando venne tagliato il 60% del debito tedesco, dopo la Guerra».

Insomma toni esasperati, ma nonostante questo un accordo potrebbe essere ancora possibile. Il perché? L’influente diktat americano. Il presidente Obama è stato chiaro, la Grecia non deve uscire dalla sfera d’influenza europea, e il segretario al tesoro Usa ha aperto a una ristrutturazione del debito (ovvero parziale cancellazione): secondo Law «il debito della Grecia è insostenibile» e «l’Europa deve ristrutturarlo».
Se entro domenica non ci sarà un accordo sarà default, e intanto le banche concederanno prelievi limitati fino a venerdì.

Valerio Santori

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