Sono passati un po’ di anni da quando i Tre allegri ragazzi morti suonavano L’allegro pogo morto in qualche locale fornito di pessima attrezzatura audio, sperduto nel basso veneto. Da allora nel mondo della musica è cambiato un po’ tutto: l’indie è uscito dai localetti sgangherati di provincia ed è approdato in quelli del centro, ha fatto milioni di visualizzazioni su Youtube e Spotify, ha prima esordito e poi sbancato a San Remo, si è seduto dietro i banchi di X Factor e, assieme al rap, si è imposto come dominante sul mercato.
Il recente successo del genere preferito dagli indossatori semiprofessionisti di camicie vintage ha portato a una diversificazione dell’offerta musicale e a una fenotipizzazione degli ascoltatori.
La buona notizia è che non hai più bisogno di essere considerato un borioso hipster per ascoltare gli Afterhours, la cattiva è che in ogni caso ti verrà affibbiata un’etichetta a seconda della musica che ascolti: quindi abbiamo deciso di farlo noi prima che decida di farlo Studio Aperto tra un servizio sulla nuova fiamma di Belen Rodriguez e quello sul caldo record di quest’estate.
1. Quelli che “… da prima che fosse mainstream”
Nonostante il tono da saputello e la faccia da schiaffi, solitamente questo è il tipo di ascoltatore di musica indie più acculturato: conosce tutti i gruppi che conosci tu, con la differenza che lui li ascoltava quando non li conoscevano nemmeno i rispettivi genitori. Li ha visti live alla loro prima comunione ed era amico intimo del parroco che li ha battezzati, e lui sì, che spaccava di brutto.
È un vero talento nel riconoscere il talento ma solo quando si tratta di perfetti sconosciuti perché appena il suo gruppo preferito inizierà a riempire i locali sarà già troppo tardi, fare più di 10 persone a un concerto è mainstream. Inutile parlare dei suoi gruppi di riferimento perché tanto ancora non si conoscono, saranno famosi tra almeno 5 anni.
2. Quelli che si sono appena lasciati
Fino a ieri ascoltava i Rammstein, poi ha rotto con la ragazza ed è caduto in un baratro fatto di accordi tristi e ritornelli di Coez.
A volte la tristezza è una scelta, ma per lui sembra essere diventata una vocazione. Si nutre principalmente di playlists a base di Calcutta e The Giornalisti, senza però disdegnare Carl Brave e Franco 126. Fortunatamente per lui, si tratta solo di una fase e ben presto tornerà ai Rammstein, almeno fino alla prossima rottura.
3. Quelli politicamente impegnati
Questa categoria è una delle più storiche.
L’ascoltatore impegnato politicamente si è avvicinato all’indie durante qualche evento in quel centro sociale occupato del centro storico che gli piace tanto, ma che rischia di essere sgomberato un giorno sì e l’altro anche.
È quell’ascoltatore che dopo anni di astinenza è tornato a guardare San Remo per Lo Stato Sociale e che ci è rimasto malissimo quando ha visto Manuel Agnelli a X Factor. Per lui la musica possiede un’imprescindibile componente politica, oltre Lo Stato Sociale, il suo artista indie di riferimento è Willie Peyote, ma solo perché non ne ha capito bene i testi.
4. Gli orfani del rap
Da quando il rap è diventato per lo più trap, un’intera fetta di hippoppettari si è ritrovata senza più una scena di riferimento.
Si narra di orde di giovani vestiti con abiti di due misure più grandi vagare per le strade in cerca di qualche concerto a cui poter fumare erba, bere bibite senza codeina e sentirsi alternativi. Pare che il primo b-boy ad avvicinarsi all’indie sia stato proprio il sommo Coez subito dopo la straordinaria scoperta dell’intermezzo musicale tra due strofe, comunemente detto ritornello o Coezlandia. Da allora molti altri “rappusi” hanno scelto la via dell’ indie pur di non morire trappari, facendo la gioia delle fidanzate che ora ai concerti ci vanno senza bisogno di essere prima legate e immobilizzate.
5. Quelli che “…è solo pè scopà!”
Di tutte le categorie di ascoltatori, questa è la più infida e trasformista.
Un esemplare di questo genere è in grado di simulare con apparente sicurezza la conoscenza di qualunque artista o gruppo musicale a partire dalle informazioni fornite dall’interlocutore durante la conversazione.
In verità, conosce per lo più due o tre canzoni dei gruppi dei quali frequenta i concerti, ai quali si approccia similmente a una battuta di caccia, in cerca di qualche ragazza sufficientemente disperata, ubriaca o entrambe le cose, con la quale fingere di parlare di musica e raggiungere un coito. Anche qui è inutile parlare dei suoi musicisti indie preferiti, perché sicuramente sono proprio i tuoi.
Nonostante la classificazione appena espressa sia stata costruita su basi estremamente rigorose, come ad esempio l’evidente grado di simpatia dell’autore per gli hipster e gli Afterhours, va detto che in fondo si potrebbe trattare di una divisione non propriamente scientifica.
In fondo, per quanto possiamo vergognarci ad ammetterlo, tutti almeno una volta nella vita abbiamo pensato a quanto fossero simpatici i testi de Lo Stato Sociale o a quanto fosse musicale un ritornello dei The Giornalisti.
Tutti tranne Manuel Agnelli, ma solo perché fino ad ora non lo avevamo ancora citato.
Alessandro Cuntreri