Li avevo conosciuti meno di due mesi fa, Francesco e Giuseppe, e da allora di strada ne hanno fatta. Sono partiti da Napoli e sono arrivati a Roma, dove hanno trovato una sistemazione temporanea in una casa di accoglienza dell’Arcigay. Si raccontano in un’altra intervista, aggiornandomi sulla loro attuale situazione, parlandomi ancora dei loro sogni e delle loro speranze per il futuro.
«Io e la mia sorella maggiore abbiamo intentato una causa contro mia madre per averci cacciato entrambi di casa», comincia Francesco. I suoi diciott’anni non gli hanno impedito di pretendere ciò che gli spetta: «io e lei non siamo autosufficienti, non possiamo continuare ad andare avanti così, quindi ci spetta un mantenimento. Abbiamo anche fatto istanza al giudice per poter riprendere possesso della nostra casa».
Giuseppe è vicino a lui, entrambi all’altro capo del telefono. Li immagino ancora tenersi per mano, come hanno sempre fatto in questi lunghissimi mesi durante i quali hanno patito freddo e fame, insieme. Francesco riprende a parlare e mi rivela ciò che più gli preme dire: «la cosa più importante che abbiamo chiesto al giudice è che ci permetta di vedere nostra sorella minore, è da quando nostra madre ci ha cacciati di casa che non ci consente di vederla. Non voglio dover aspettare che lei faccia diciott’anni per riabbracciarla di nuovo».
Francesco mi racconta del processo e delle false dichiarazioni fatte da sua madre, quella stessa madre che avrebbe dovuto prendersi cura di lui, che ha sostenuto una tesi ‘inverosimile’ a detta del figlio. «Si è difesa dalle accuse sostenendo di averci cacciati di casa perché io rappresentavo un cattivo esempio per mia sorella minore, perché sono omosessuale e violento, secondo lei. Ma violento non lo sono mai stato e non chiederò mai scusa per ciò che sono. Essere omosessuali non è un crimine e non accetto che mia madre o chiunque altro possa farlo passare come tale».
La sentenza del giudice li ha visti entrambi vittoriosi in merito alla richiesta di mantenimento fatta nei confronti della madre. Purtroppo, nonostante il giudice possa discrezionalmente decidere di permettere a Francesco di riabbracciare la sorella minore, non esiste una legge che obblighi la madre a concedergli questa gentilezza. Anche riguardo alla richiesta di riprendere possesso della loro casa, Francesco e sua sorella di 22 anni non hanno avuto esito positivo. L’immobile è al momento occupato da sua madre e dall’altra sorella.
«Citerò in giudizio nuovamente mia madre per diffamazione», continua Francesco, «non posso accettare che lei voglia distorcere la verità per fare i suoi interessi. A fine mese dovrebbe arrivare il mantenimento, abbiamo intenzione di risparmiare per poter provvedere a noi stessi e per tornare a Napoli e ricominciare tutto da capo».
Nel caso in cui non venisse corrisposto quanto dovuto da parte della madre, si applicherebbe l’art570 c.p. che così recita: “Chiunque […] serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro”.
Francesco mi confida ben più di quanto io possa scrivere, aggiornandomi su altre delusioni che lui e Giuseppe stanno cercando di affrontare e superare insieme. Per tutelarli, aspetterò che riescano a risolverle per poter poi raccontarle.
Concludo l’intervista chiedendo loro cosa pensino di tutti gli episodi di violenza nei confronti degli omosessuali di cui son piene le pagine di cronaca; è Giuseppe a prendere la parola e a ribadire quanto aveva già precedentemente dichiarato, ad esporre il suo disgusto verso chi commette azioni così deplorevoli sulla base di ignoranza e pregiudizi che, nel 2017, non dovrebbero più essere all’ordine del giorno. «È come tornare al periodo della seconda guerra mondiale, incalza Francesco, quando fuori dai locali c’erano i cartelli che vietavano l’ingresso a cani ed ebrei. Non è possibile che vengano ancora fatte discriminazioni di genere nei confronti di chi non ha fatto nulla di sbagliato, nei confronti di chi non ha fatto altro che essere se stesso».
Li saluto entrambi, ringraziandoli. Magari, la prossima volta, riuscirò a ritrovarli felici per aver raggiunto l’obiettivo di riavere una casa, qualcosa che sembra così banale a dirsi ma che, a quanto pare, è diventata quasi impossibile a farsi.
Sara Cerreto