L’uomo, per la sua stessa natura di essere limitato, non potrà mai aspirare alla pienezza della libertà (cioè a non essere condizionato da niente se non da se stesso nel proprio agire): la natura umana, infatti, è caratterizzata dagli “affetti” e dalle “passioni” che spesso ne determinano le scelte. Il condizionamento, quindi, fa parte dell’essenza dell’uomo, ma è possibile liberarsene con un uso corretto della ragione.

[Baruch Spinoza, Ethica Ordine Geometrico Demonstrata]

A gennaio, dopo i fatti di Parigi, la vulgata ipocrita diceva che eravamo tutti Charlie Hebdo: tutti abbiamo reclamato la libertà di espressione, la libertà di pensiero, la libertà di poter manifestare la nostra opinione; ci siamo prodigati, in altre parole, per affermare valori che fino a quel momento davamo per scontati. Perché parlare, però, di ipocrisia?

Possiamo prendere come esempio le costanti tensioni, sfociate anche in scontro fisico, nelle università, che dovrebbero essere luogo di apprendimento e di confronto tra idee e modelli, tra “fascisti” (poco importa se leghisti o di AN) e “antifascisti” (più o meno “autonomi”). Proprio questa costante categorizzazione in “fascisti”, “comunisti”, “leghisti”, “autonomi” e quant’altro ha appioppato a tutti delle etichette non necessarie, delle catene che imprigionano le idee in schemi precostituiti e pregiudizievoli.
Se una persona indossa una felpa con la scritta “Piemonte” allora è per forza un “becero fascioleghista”? Chi parla con gli amici in dialetto è necessariamente un “terrone ignorante” o un “polentone ottuso”? No, in realtà sono tutte persone accomunate dall’amore verso la propria terra d’origine.

Ormai si cresce e si vive con la convinzione di essere inquadrati in tifoserie opposte, si è “con noi” o “contro di noi” e da lì non si ha scampo, con l’insegnamento che ci sono delle differenze che vanno rispettate, ed al contempo con il dogma che siamo tutti uguali e che abbiamo tutti pari dignità.
Eppure come non notare la dissonanza delle teorie con una realtà nella quale i difensori a parole della libertà costituzionale di manifestazione del pensiero, che si autodefiniscono antifascisti, impongono agli avversari/oppositori il silenzio con la violenza, che sia verbale oppure fisica? Non è forse fascismo anche quello?
Ecco allora come la sostanza abbia smentito l’etichetta, concretizzando le parole della comunista e antifascista Nilde Iotti: «È necessario cogliere negli altri solo quello che di positivo sanno darci e non combattere ciò che è diverso, che è “altro” da noi».

Chi ha avuto esperienze nel mondo di internet probabilmente ha sperimentato, per esperienza personale o altrui, un regime di restrizione della libertà di manifestazione del pensiero: si chiede la censura o la messa a tacere di quello che non piace e si riconosce la legittima libertà di espressione solo a chi la pensa nella medesima maniera, introducendo un circlejerk che non stimola il dibattito, ma anzi cristallizza e cementifica le posizioni iniziali.

Tra pagine, gruppi, profili personali e forum tematici la repressione è dura: solo alcuni, dopo aver superato un periodo di fuoco incessante, vengono accettati da parte degli esemplari alpha del branco di leoni da tastiera, mentre altri sono costantemente isolati e respinti; non è comunque scontato che anche chi sopravvive al cerchio di fuoco siano considerati come pienamente “normali”.

Viene da pensare, allora, che quelle sull’uguaglianza non siano altro che menzogne: citando Orwell, «Tutti gli animali sono uguali. (ma alcuni sono più uguali degli altri)».
I sessi sono uguali, ma in nome della parità si impongono le quote rosa, che prevaricano gli effettivi meriti e capacità. Le sessualità sono uguali e private, ma si aderisce in massa e pubblicamente alla colorazione arcobaleno delle foto profilo su Facebook, come se ostentare una sessualità fosse un qualcosa di cui vantarsi. Guai a dire che chi ruba è un ladro, che chi uccide è un assassino, che chi si droga abitualmente è un tossicodipendente, a prescindere da nazionalità ed etnia: sono tutte persone cui può succedere di sbagliare, vanno tutti aiutati senza far pesare loro le colpe di quanto hanno fatto, ma se il reo è ricco allora quell’infame deve scontare tutta la pena.

Esiste ancora la libertà di esprimere la propria opinione? Forse, a patto di non urtare qualche sensibilità altrui, e ciò è oggettivamente impossibile, a meno di non mentire a sé stessi, ed allora si pratica l’autocensura per rimanere in un ambiente politicamente corretto. Dove si pone un limite accettabile tra la libertà di espressione e la libertà di non essere urtati? Impossibile stabilirlo preventivamente.

Forse è questo il punto: le libertà di espressione e di pensiero non esistono. Tutti esercitano pressioni e condizionamenti affinché si “pensi” in un determinato modo: se Parigi è in lutto, se gli omosessuali statunitensi sono in festa, basta colorare a tema le immagini del profilo e si opera una sensibilizzazione modaiola di massa, con il mondo intero a lutto o in festa e le porte aperte alla commercializzazione.
Con buona pace delle libertà di pensiero ed espressione.

Simone Moricca

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