“Vai a sapere come sarà il mondo dopo l’anno 2000… Abbiamo un’unica certezza, se ci saremo ancora, saremo ormai gente del secolo passato o peggio ancora, saremo gente dello scorso millennio. Tuttavia, anche se non possiamo conoscere il mondo che verrà, possiamo ben immaginare come vorremmo che fosse.“
Le parole con cui Eduardo Galeano, qualche anno fa, costruiva il preludio ad uno dei suoi più bei fragmentos poéticos, “Il diritto di sognare“, riflettono le medesime ansie e desideri che molte persone provano tra la fine ed il principio di ogni anno, come di ogni cosa; fantasie che rivolgono uno sguardo amorevole al futuro, colmo della speranza di emanciparsi da vecchie paure, empietà ed infamie.
È proprio al di là dell’infamia, Galeano, intellettuale tra i più apprezzati in America Latina, volse i suoi occhi immaginando un mondo capovolto, un altro mondo possibile, in cui il diritto di sognare (così come il diritto al delirio) figuri tra i diritti umani proclamati dalle Nazioni Unite, in virtù del fatto che è proprio questo inalienabile diritto a garantire la sopravvivenza di tutti gli altri.
Il testo completo è un estratto da Patas arriba (A testa in giù), opera narrativa del 1998 che dipinge l’estrema distopia della povertà, in cui i bambini sono costretti a frequentare le “scuole del mondo alla rovescia”, nelle quali vengono iniziati alla disuguaglianza, all’impotenza e al fatalismo che cala sul mondo la scure dell’oppressione, negando al futuro ogni prospettiva di riscatto.
I temi toccati da Galeano sono ricorrenti nella sua produzione narrativa e nelle atmosfere che hanno decretato il successo mondiale della generazione di scrittori latinoamericani che, tra dittature militari e disparità sociali, hanno saputo raccontare l’amarezza di quel continente desaparecido tanto difficile quanto amato.
Eduardo Galeano, uruguagio di origini spagnole, tedesche e italiane, è nato a Montevideo nel 1940. Ha inaugurato la sua carriera come giornalista per poi abbracciare la saggistica e la narrazione storica nelle due opere che ne hanno sancito il successo nel panorama della letteratura latinoamericana: Le vene aperte dell’America Latina (1971) e Memoria del fuoco (1982-1986).
È stato uno dei più raffinati interpreti di quel genere di letteratura ibrida che mescola la storia alla narrativa e il giornalismo all’analisi socio-politica. L’intreccio di cronaca e narrazione costituisce un binomio inscindibile nella tradizione culturale di un continente che non ha mai potuto prescindere dal racconto delle ferite profonde che, dai tempi della conquista, non si sono mai più rimarginate. L’importanza e l’accuratezza dell’opera di Galeano risiedono proprio nel fatto che le “vene aperte” di cui egli ha raccontato sono profondamente costitutive dell’identità di quella razza meticcia che, dal Messico allo stretto di Magellano (citando Che Guevara), rappresenta un unico grande popolo.
Il diritto di sognare di cui parla Galeano parte anche da questo: dalla profonda consapevolezza che l’annichilimento incondizionato delle oceaniche masse di indios e campesinos in atto ormai da secoli, rappresenta la manifestazione assurta a universale delle più brutali forme di prevaricazione dell’uomo sull’uomo. Il diritto di sognare è ciò che la coscienza, politica, sociale o semplicemente umana, non può fare a meno di contrapporre a quel dovere di morire, tanto nel corpo quanto nell’anima, a cui milioni di esseri viventi sono da sempre piegati.
Il lirismo idealista degli splendidi versi con cui Galeano immagina un mondo libero dalla miseria e dalla disuguaglianza rappresentano la più grande delle prove di forza: la capacità dell’uomo di concedersi, pur avendo vissuto le somme forme della sofferenza, un’ulteriore possibilità.
Concepire questa prospettiva è l’atto che legittima il diritto di sognare, che Galeano accorda alla brillante definizione del suo amico Fernando Birri, regista argentino, dell’utilità dell’utopia: “L’utopia è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. L’utopia serve proprio a questo: a camminare.“
Cristiano Capuano