In vista delle elezioni del prossimo 4 marzo, ha fatto irruzione nel panorama politico nazionale la proposta di Potere al popolo, nata dall’appello lanciato nel novembre scorso dal centro sociale napoletano “Je so’ pazzo” che è stato raccolto da vari soggetti politici della sinistra movimentista e, tra gli altri, da Rifondazione Comunista. All’attivo si contano più di cento assemblee convocate dal basso in tutta Italia e in alcune città europee con forte presenza di migranti italiani.

La sfida lanciata da Potere al popolo non è semplice, innanzitutto guardando all’obiettivo cronologicamente più immediato che è quello di superare la soglia di sbarramento del 3% prevista dalla legge elettorale per le elezioni del 4 marzo. Ma l’obiettivo più complesso e più ambizioso sul piano politico è quello di mantenere alta l’attenzione sulla piattaforma di lotte che Potere al popolo ha aggregato, dai NO TAV al sindacalismo di base, ben oltre la data del 4 marzo, nel tentativo di riaggregare quei pezzi di società massacrati dalla crisi e mortificati dallo sfruttamento di corpi, intelligenze e territori a vantaggio di pochi.

Non è per nulla semplice e per nulla scontato che ciò accada ma, sostengono i promotori di Potere al popolo, si tratta di un passaggio necessario, quello di organizzare tra loro tutte quelle sofferenze che attraversano il Paese in un orizzonte politico di radicale rottura con lo status quo, provando a superare la sindrome da depressione collettiva della sinistra italiana, certamente giustificata da dieci anni abbondanti di pesanti sconfitte non solo (e non tanto) sul piano elettorale ma, ancor più grave, nella capacità di lettura e presenza politica nella società.

Tra le questioni che sono emerse nel corso delle varie assemblee, oltre ai quindici punti che compongono il programma e declinati in essi, vi sono la questione di genere e la questione generazionale.

I sondaggi ci dicono che il 70% dei giovani di questo Paese dichiara di non avere intenzione di recarsi alle urne il 4 marzo, probabilmente perché il dramma delle generazioni fantasma (quelle nate dall’80 in poi, per intenderci) trova solo strumentale spazio nel dibattito politico, forse anche per scarsità numerica di rappresentanti di quelle generazioni all’interno delle istituzioni. Anche nel corso dell’assemblea territoriale flegrea di Potere al popolo del 4 gennaio scorso, i partecipanti hanno più volte ribadito di non voler essere i “rottamatori” della sinistra radicale, pur non negando che il dato anagrafico rappresenta lo specchio di una società con gerarchie sempre più impenetrabili per chi non eredita rendite di posizione.

Affrontando poi il tema della questione di genere, balza subito agli occhi che ci sarà una sola donna a capo di una coalizione e si tratta proprio di Viola Carofalo, ricercatrice precaria napoletana, portavoce di Potere al popolo.

Anche su questo aspetto, nell’assemblea territoriale flegrea si è ribadito che la questione di genere è cosa ben più complessa e profonda dell’aritmetica delle quote rosa, in quanto non rappresenta un’anomalia il numero delle donne candidate o elette se raffrontato al quadro generale della questione femminile in Italia, dove la struttura patriarcale della società si rinviene in qualsiasi ambito della vita associata e privata.

Per quanto riguarda il discorso complessivo legato all’appello lanciato da Potere al popolo, non sono mancate accuse di velleitarismo ai promotori della lista colpevoli, secondo Luciana Castellina , di non aver fatto fronte comune con Liberi e Uguali in vista delle elezioni del 4 marzo. All’articolo comparso sulle pagine de Il Manifesto, ha replicato Viola Carofalo affermando che, al netto delle dichiarazioni e delle prese di posizione da campagna elettorale, sembra poco credibile la lista guidata dall’onorevole Pietro Grasso in quanto vede, tra i propri promotori, politici come D’Alema, Bersani e Speranza i quali hanno contribuito all’approvazione di leggi come il Jobs act e, i primi due, sono attori di lungo corso di quel centro sinistra accusato di aver venduto anima e corpo al liberismo.

La sfida, come si diceva, è ardua. Uscire dall’isolamento e dallo sconforto, superare gli egoismi e i protagonismi che hanno segnato la storia della sinistra extra parlamentare negli ultimi anni, rappresenta la base per poter costruire qualcosa che sopravviva e si moltiplichi oltre il 4 marzo, oltre il recinto ideologico della militanza, affinché Potere al popolo diventi un soggetto capace di parlare a tanti e non si trasformi nell’ennesimo tentativo si soggettivazione a sinistra che precede il ritorno all’ovile di tutte le esperienze politiche che lo animano, consegnando ciascuna struttura alla solitudine e all’insufficienza delle singole battaglie.

Mario Sica

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