L’artista coreana Jukhee Kwon in mostra nella Galleria Patricia Armocida (Milano) fino al 17 febbraio 2017: dalle pagine dei libri vengono fuori opere d’arte di carta dotate di forte simbolismo.
Centinaia di migliaia di parole, metri su metri di carta, libri aperti dai quali fuoriescono le storie rimescolandosi e ricomponendosi in forme nuove: ogni parola, appare necessaria. C’è un tale mare di lettere, di inchiostro e caratteri che scriverne di nuove sembra un oltraggio. Meglio seguire il filo di parole disperse e ricostruire un senso, una storia nuova. Le opere della Kwon hanno la forza, tipica delle opere d’arte, di incollarti a loro, facendoti venir voglia di osservarle da ogni direzione. Una calma bianca, impregnata dell’odore della carta.
“Non pativa dolore” si legge guardando oltre il vetro dell’opera From Book to The Space: una piccola Madonna di carta, un Santo sottovetro, il capo costituito dal piccolo libro Poesie di Rilke e il corpo, i vestiti nient’altro che le pagine tagliuzzate a mano. Una piccola miniatura degna di un fedele devoto, che la si potrebbe ritrovare in una Chiesa senza stupirsi.
I libri abbandonati e inutilizzati sono i protagonisti delle opere della Kwon perché “per me, ogni libro ha una personalità individuale e una storia simile a quella degli uomini”. E così non è lasciata al caso la scelta dei libri dai quali trarre le opere: Casa di carta è sia il nome dell’opera sia il nome del libro. Un nido di rondine, un ritorno all’intimità, la casa, il rifugio. Le fragili pagine, sfilacciate con dolcezza, ricostruiscono un’idea e “certo mi pare meraviglioso e bizzarro”.
La Babel Library è come una torre, un’esplosione, un fungo di cellulosa, una nube di carta che si innalza. Oppure un tronco piazzato nel bel mezzo del nulla, centro di vita, dal quale nasce un germogliante prato di parole. Sembra di poter ascoltare il cinguettio degli uccelli incastrati nei libri e adesso liberi. Così come nella The Voice of Words pare sentire lo scrosciare delle onde di parole infrangersi sotto i nostri piedi: la retroilluminazione trasforma il letto di carta in un mare illuminato dalle lampare dei pescatori.
L’artista gioca con le parole, con il contenuto e con la forma. Lancia dei messaggi, attraverso giochi d’ombre, di mancanze, di cancellature, di tagli e ricomposizioni. I Cuttin Sketch meriterebbero di essere studiati uno ad uno: tecnica, messaggio, gioco. Heart’s of the Darkness, SOS, Be Quiet e L’origine dell’Universo sono piccole opere d’arte che vibrano di vita, memorandum da riguardare ogni giorno.
L’atto di espansione del libro che attraverso le parole si reinventa allude all’affermazione di libertà e di movimento: l’artista racconta così la propria esperienza di migrazione.
L’opera Wild Swans appare caratteristica. Composta da una base di piccolissimi uccelli origami, simbolo di movimento, la sommità invece è rappresentata da un libro probabilmente di storia dove sono raffigurate due cartine dell’Oriente. Un’opera che appare come un Santo Graal, simbolo della ricerca appena iniziata di nuove esperienze. Di nuovi passi appena mossi.
L’odore, il sapore, il tatto, il senso dei libri e delle parole, tutto riempie lo spazio. Il peso della lingua è leggero, come le pagine che si lasciano andare, cascando verso il basso, vittime della gravita e non più dell’uomo. La Kwon libera, libera le parole ingabbiate nella carta e regala nuova vita.
Francesco Spiedo