Mangereste una fragola blu? Io si, del resto tutta la frutta che mangiamo è variopinta. Rosso, giallo, arancio, viola, verde eppure il blu proprio no, sembra non essere gradito.
La risposta più frequente è che le fragole sono rosse in origine e quindi quelle blu, da poco ottenute in laboratorio e ovviamente non ancora sul mercato, sembrano non convincere proprio, almeno rispetto a quanto è possibile leggere in rete.
Ma le cose non stanno proprio così perché le fragole che mangiamo sono ben diverse dal ceppo selvatico da cui derivano, che presenta frutti notevolmente più piccoli, chiari e dal sapore molto meno deciso. Di certo ben diversi anche dalla nostra fragola blu.
A dirla tutta gran parte del cibo che consumiamo, sia di origine vegetale che animale, deriva da secoli di selezioni e incroci operati artificialmente dall’uomo per ottenere quello che oggi vediamo nei mercati e nei negozi. E la fragola blu, frutto di tecnologie e conoscenze decisamente superiori, condivide in fin dei conti lo stesso percorso.
Ma perché la fragola blu? L’idea nasce per ovviare ad un problema che questa specie presenta, nonostante selezioni e incroci, ovvero la poca resistenza al freddo.
Gli scienziati hanno isolato un gene che permette ad un pesce artico, il Flounder Fish (una specie di sogliola), di sopravvivere a temperature estremamente basse inducendo il corpo a produrre una sorta di antigelo naturale. Utilizzando la tecnica dello splicing il gene è stato inserito nel genoma delle fragola ottenendo quindi questa variante dotata di antigelo e decisamente più resistente alle basse temperature.
Non solo la pianta ma gli stessi frutti presentano una maggiore resistenza alla conservazione nelle celle frigorifere producendo così non pochi vantaggi. Per farla breve la fragola blu può essere tenuta molto più a lungo nel frigo prima che ammuffisca o si rovini.
Si ma perché blu? Al netto di teorie più o meno fantasiose la risposta è piuttosto semplice: i vettori di clonazione utilizzati in questo ed in altri esperimenti condotti da una equipe thailandese sulle fragole (pT7blue e pT7blue2), codificano per il pigmento blu, espresso poi in quello che è il risultato finale. Casualmente quindi.
Bisogna fare a questo punto alcune considerazioni sulla fragola blu, perché non è ovviamente solo una questione estetica o di conservazione. E’ una delle tante questioni da inserire nell’ampio dibattito che riguarda gli OGM e la manipolazione genetica degli animali e dei vegetali.
Io credo che la genetica, compresa quella della fragola blu, sia l’evoluzione delle tecniche di incroci e selezioni operate dall’uomo sin dall’antichità, dagli albori dell’allevamento e l’agricoltura, passando da Mendel e dai suoi esperimenti.
Oggi abbiamo creato tecnologie infinitamente più potenti è vero, ma siamo sempre guidati dalla nostra curiosità, altrettanto infinita, e dalla nostra voglia di sperimentare e migliorare. Nessuno sa se è giusto o sbagliato perché siamo semplicemente fatti così.
Tralasciando il fatto che la differenza sta nell’uso (o abuso) che se ne fa di una determinata tecnologia, la fragola blu è soltanto questo, la voglia di perfezionare quello che ci circonda in base alle nostre esigenze e perché no, alla nostra evoluzione.
Certo, bisognerebbe stare un po’ più attenti coi colori, se quella fragola fosse stata rosso scuro piuttosto che rosso chiaro magari avrebbe dato meno nell’occhio. Nessuno se ne sarebbe accorto e sarebbero usciti meno articoli e commenti, nonostante l’antigelo e il Flounder Fish. Per cui cari scienziati occhio, stavolta è andata col colore un po’ pittoresco, ma Jurassic Park è sempre dietro l’angolo.
http://buzz.naturalnews.com/000061-food-science-GMO.html
http://rdo.psu.ac.th/sjstweb/journal/27-4/02-strawberry-gene.pdf
Mauro Presciutti